Notte agitata a Providence.
Horror, fantasia e realtà possono fondersi bene a Providence, ma non siamo negli Stati Uniti di Lovercraft, bensì in un castello immerso nel bosco, come si conviene ai castelli inglesi.
Resnais gira quest’unico film inglese ma lo fa da francese, e a volte sembra di essere a Marienbad, altre volte lo vediamo che strizza l’occhio mentre prende in giro gli inglesi con molta serietà, in qualche passaggio ci ricorda Notte e nebbia e lì sì, ci mette un’angoscia a non finire, da Hitler a Pinochet, passando per i colonnelli greci, c’è tutto e a Resnais non serve dire tanto
Resnais dev’essersi divertito molto a girare questo film, ha piazzato una telecamera nella testa di Clive Langham, alias John Gielgud, vecchio acciaccato abbastanza malvissuto sul piano nutrizionale (beve in continuazione, ma altrettanto fanno gli altri, e solo vino bianco, raramente se ne vede bere tanto come qui) e gli ha registrato pensieri, sogni, pulsioni, fase rem e post-rem, tutto, e tutto nell’arco di una notte (una delle tre unità aristoteliche, il tempo, quanto al luogo e all’azione qualcuno provi ad arginare sogni e pensieri!).
Ne esce un bel miscuglio, come è giusto che accada con l’onirico in combutta con la fantasia creatrice, dentro c’è la realtà più vera ma chissà dove arpionarla e metterla insieme in un giusto ordine razionale, solo quel che serve per stare in buona compagnia e con la bella ragionevolezza che ci fa essere tanto bravi, gentili ed educati?
Clive tira pesci in faccia a tutti in questo pot-pourri che si agita nella sua mente in dormiveglia e nel corpo dolorante. Ne esce male soprattutto quel coglioncello del figlio, un Dirk Bogarde che più antipatico di così non si potrebbe, tutto affilato nei doppiopetti azzimati e nelle battute fulminanti.
Non va meglio a nuora, moglie e amante che sfilano in un repertorio dell’ “universale femminino” da antologia, mentre tempo reale e memoria soggettiva si fondono e decostruiscono tranquillamente qualsiasi principio narrativo non appena comincia a formarsi.
Come in una sinfonia il regista dirige l’orchestra, i movimenti, allegro, lento, moderato e rapido si alternano. L’intenzione comunicativa c’è, come in una sinfonia c’è un titolo, Providence, ma cosa ci sia di provvidenziale in tutto ciò tocca allo spettatore scoprirlo. Dal caos nasce la forma, il film si snoda con il suo ordine, che è quanto di più simile esista a quello della vita che, per l’appunto, non è un romanzo.
Decostruzione narrativa totale, allora, e dove meglio che di notte e in una mente ormai alterata dagli anni e dall’alcool, ma geniale al punto giusto da dar forma ai sogni e farli sembrar veri?
Ma poi arriva la luce del giorno e i piani temporali tornano al loro posto, i legami analogici si rifugiano nel profondo, pronti a riemergere appena cadranno di nuovo i freni inibitori, è il giorno del settantottesimo compleanno dello scrittore e i personaggi si ritrovano tutti alla tranquillizzante luce della realtà per l’ennesimo brindisi nei calici scintillanti.
Ma adesso hanno un autore.
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Providence
Francia/Svizzera, 1977 durata 107′
di Alain Resnais con John Gielgud, Dirk Bogarde, Ellen Burstyn
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