Uzak di Nuri Bilge Ceylan

Nell’andante della K 364 di Mozart  i due strumenti solisti si alternano e compenetrano, sono come impregnati di bellezza e si aiutano, si sostengono a vicenda, da soli sarebbe impossibile.

Per due volte Ceylan lo manda come colonna sonora e tutte e due le volte stacca la “puntina” sul più bello. Difficile incontrare una tale capacità di commentare con la musica quello che le parole renderebbero piatto e informe.

Le immagini, sì, quelle soccorrono, e gli scorci di Istanbul innevata, poi grigia di pioggia, quello scorrere incessante, monotono, di battelli sul Bosforo visti dalla prospettiva del ponte o dal lungomare, con gli spruzzi alti delle onde sulla banchina, e i minareti della moschea di Solimano che s’intravedono appena nella foschia segnano le battute di un tempo della storia che storia non diventa, perché per i due cugini, Mahmut e Yusuf, tutto è già accaduto e forse poco dovrà accadere, benchè giovani.

Il primo è il topo di città smaliziato, deluso, anaffettivo per necessità, affettivo per natura, represso e in conflitto permanente con sè stesso,  si legge tutto nella faccia smunta e barbona, nel silenzio da cui esce solo per rimproverare su cose di poco conto (no smoking in salotto e in camera… tirare lo sciacquone nel bagno … hai visto l’orologio d’argento che era nel mio cassetto? … non fumo quelle sigarette di merda).

Yusuf è il topo di campagna, all’inizio simpatico, fa tenerezza. Viene dall’interno, c’è crisi, licenziati lui e il padre dall’unica fabbrica del paese, è un immigrato in cerca di lavoro in città. Si appoggia a casa del cugino dando per scontata una certa solidarietà parentale che, invece, in città si perde, gira sotto la neve come un disperato ma non trova lavoro. Un paio di ragazze che adocchia sono già impegnate, telefona alla madre (c’è sempre una madre e un legame profondo fatto capire con pochi cenni in questi film turchi) va, si muove, si agita e alla fine diventa insopportabile.

Ceylan ha grande capacità persuasiva, ci fa vedere le cose con gli occhi che lui decide si debbano usare in quel momento, ci fa leggere tra le pieghe di un non detto, un non scritto, un non accaduto, interi papiri sulla storia dell’uomo e sul suo attaccamento al mondo anche se il mondo lo rifiuta.

Sul lungomare solitario e grigio perla Mahmut ha fatto piazza pulita di tutto, da Yusuf  fino all’ex moglie e all’amante.

Cosa gli resta da fare mentre la macchina si avvicina e inquadra solo il suo viso con la sciarpa stretta sul collo? Fumare una di quelle sigarette di Yusuf, sì, quelle che gli aveva offerto perché le sue erano finite e lui, no, non fumo quella merda. Le ha trovate dimenticate in camera, Yusuf è andato via e ha lasciato la chiave appesa dietro la porta.

Ebru ‘ ya, sullo sciacquio dell’acqua a riva lo schermo torna nero e compare questa scritta. Si riferisce al marmo, al fenomento della marmorizzazione, e descrive Mahmut meglio di ogni altra parola.

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Uzak

Turchia 2003 durata 109′

regia di Nuri Bilge Ceylan

con Emin Toprak, Fatma Ceylan, Zuhal Gencer Erkaya, Muzzafer Özdemir

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