Still walking di Kore-eda Hirokazu

In Aruitemo Aruitemo il cocktail è perfetto, umorismo e spleen in giusto dosaggio, una spruzzatina di senso del tempo che passa e va e sotto lo stesso ponte non passa mai la stessa acqua  (per chi conosce il film stiamo parlando della farfalla gialla. Dopo tanto parlare e armeggiare di qualche anno prima, Ryota non ricorda più chi ha detto che le farfalle gialle sono le anime dei morti! Forse finge). 

Infine una fogliolina di mentuccia sull’orlo del bicchiere (il ragazzino orfanello che finge di non ricordare nulla del padre morto e invece ricorda tutto) e la bevanda è pronta.

Detto così, un film che fa pensare ad un cocktail non sembra proprio un granchè, e invece no, è un gran film, e Kore-eda non si smentisce, fa centro anche stavolta.

Ritmo al ralenty e d’improvviso in accelerazione, intreccio quasi invisibile, da scorrimento carsico, alla Ozu,  montaggio curato allo spasimo, ne usciamo che non manca neanche una parola, abbiamo letto tutto, qualche accordo di chitarra, al minimo, sparisce la musica in questo mondo diventato sordo.

Si cucina e si mangia molto, è il modo adatto quando non resta granchè d’altro da dirsi, c’è anche la possibilità di imparare qualche gustosa ricetta giapponese (il tempura, ad esempio) invece di accontentarsi dei sushi nostrani.

E soprattutto c’è lui, Ryota (Hiroshi Abe) stupendo esemplare made in Japan, e quell’inquadrarlo da tutte le parti, di fronte, di profilo, di sguincio, una piega della bocca, l’angolo di un occhio, un controluce di profilo, un flash sparato di fronte è una vera benedizione per gli occhi!

Da questo centro catalizzatore partono traiettorie per interpretare gli altri membri di questo microcomo di famiglia-tipo giapponese (resta però da dimostrare che altrove sia molto diverso).

Si mangia ancora accovacciati a terra cibi come l’anguilla di mare, che in occidente forse non gode di molta attenzione,  i calzini bianchi possono risultare sporchi a rapido esame, ma è normale se le scarpe sono lasciate all’ingresso, in sala da pranzo c’è un altarino che in Occidente mai e poi mai, ed è quello di Jumpei, il fratello e figlio che tutti rimpiangono.

Era la vera promessa per il padre, il figlio prediletto, e il brav’uomo da allora è perfino peggiorato nel carattere (e Ryota, l’altro figlio, ha belle piaghe nel suo profilo).

Ci sono, è vero, cose che solo là, ma il resto è così desolatamente noto a tutte le latitudini!

Jumpei è morto da 15 anni, era sui venti, venticinque, per salvare da sicuro affogamento il ciccione che è invitato ogni anno, con sottile perfidia, al pranzo commemorativo (così non finirà mai di sentirsi in colpa).

Differenze sostanziali fra est e ovest, culture e rituali diversi, ma il conflitto generazionale è lo stesso, le dinamiche relazionali idem, incomprensioni, egoismi e frustrazioni, insomma vita allo stato puro, frammentata e frammentaria, nulla che resti, memorie che sfumano, lessico famigliare che si aggiorna per dire sempre le stesse cose, ma con altre parole.

Tutto com’è oggi e come già Ozu ci aveva mostrato, e con tanto anticipo.

In qualche momento si toccano vette notevoli per sottigliezza di analisi, capacità di inabissarsi fino in fondo all’animo e tirarne fuori tutto per trasformarlo in immagine, colore, movimento senza che tutto sembri costruito.

Merito della lezione insuperabile del maestro di cui questo film è un doveroso omaggio, Ozu Yasujiro.

Still Walking

titolo originale: Aruitemo aruitemo

Giappone 2008 durata 114’

regia di Hirokazu Koreeda

con Hiroshi Abe, Yoshio Harada, Ryôga Hayashi, Haruko Kato, Kirin Kiki, Yui Natsukawa, Hotaru Nomoto, Kazuya Takahashi, Shohei Tanaka

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