Amanti crocifissi di Mizoguchi Kenji

Chikamatsu Monzaemon, il più grande drammaturgo del periodo Edo, autore di jidaimono, opere a soggetto storico e sewamono, opere d’attualità a sfondo sociale per il kabuki e il bunraku, narra in Daikyōji mukashi-goyomi (L’almanacco dei tempi antichi) una storia vera accaduta ad Osaka nel 1683.

Kyuichi Tsuji ne adatta il testo per Chikamatsu Monogatari (Una storia di Chikamatsu), offrendo al “nuovo umanesimo” di Mizoguchi Kenji lo sfondo ambientale remoto (l’età feudale) su cui proiettare momenti di una storia eterna dell’uomo, in una distillazione magistrale di temi che unisce alla forte presa sul sociale la straordinaria capacità di far luce sulla condizione della donna in un sistema governato esclusivamente dagli uomini. Mizoguchi assume dal teatro di marionette jojuri un linguaggio visivo di forte interiorità, ne traduce la dimensione claustrofobica, isolante e rigida con tagli di scena che prediligono composizioni rettangolari e di movimento lungo la diagonale dello schermo, alterna campi lunghi con primi piani sui protagonisti che appaiono e scompaiono tra pannelli mobili, in interni labirintici, spazi gremiti eppure pervasi da un forte senso di isolamento.

Il bianco e nero, addolcito dalle sfumature di grigio marmorizzato, descrive stati della mente, “… è insieme realistico e fantastico. Come in Goya, le luci variano in maniera non realistica, quasi da rendere impossibile stabilire da dove provenga la fonte luminosa.” nota Jacques Doillon.

Eppure il realismo di Mizoguchi è implacabile, osserva Kurosawa, “la grande dote di Mizoguchi era il suo inesausto tentativo di riempire di realtà ogni scena”.

Chikamatsu Monogatari è il ritratto intenso di una tragedia d’amore, un atto d’accusa contro il conformismo di una società repressiva che tollera l’ipocrisia e la disumanità di ruoli sociali codificati .

Nessun cedimento a psicologismi e scandagli introspettivi.

Osserva bene Chabrol “Non c’è psicologia, la sua è una forma particolare di lirismo. […] In Mizoguchi abbiamo l’evidenza dell’essere umano  Niente psicologia, solo esseri umani e società. Mizoguchi era interessato alle lotte interne alla società. […] Gli amanti sono crocifissi perché condannati dalla società”.

O-san è una donna di Kyoto, praticamente venduta dalla famiglia della piccola aristocrazia feudale decaduta a Ishun, trenta anni più di lei, ricco e spietato mercante di almanacchi con ottime commesse dalla famiglia imperiale.

Il fratello s’indebita continuamente e le chiede di intercedere presso il marito per sanare i debiti, la madre è perfettamente integrata nella morale corrente e preme sulla figlia che preferirebbe morta piuttosto che vederla trasgredire le norme sociali, il marito se la spassa con geishe varie, concupisce la servetta indifesa O-Tama, ma guai pensare che la moglie possa essere anche solo sfiorata da un sospetto di infedeltà.

Eppure i nodi dell’intreccio conducono a questo.

Per tutta quella serie di casualità che spesso segnano il destino degli uomini come invisibile ragnatela, O-san e Mohei, esperto decoratore e devoto servo di casa, segretamente amato da O-Tame, vengono sospettati di adulterio, trasgressione della legge punita con la crocifissione.

Il gioco del destino farà loro scoprire un amore reciproco e inconfessato che li avvierà alla morte.

Lo shinju (il suicidio degli amanti) che i “viandanti del filo rosso” di Kitano in Dolls compiono come unica, possibile realizzazione del loro amore, qui, nello harizuke (crocifissione), assume il segno disperato e infamante di una condanna sociale, prefigurata nella crocifissione della sposa di un samurai e del servo suo amante della tragica sequenza iniziale, di ieratica compostezza nel gioco sapiente di luci e ombre che la caricano di oscuri presagi.

La costruzione narrativa è rigorosa nel condurre i due amanti alla morte, il funereo chiaroscuro segue il loro cammino verso la libertà dalle strutture sociali, la natura si apre davanti alla loro fuga, ma le acque brumose del lago dove si rivela il loro amore non aprono alla speranza.

C’è pietà nella vecchia contadina che li aiuta e nel padre di Mohei che ritrova nel figlio il suo mondo perduto, ma la capanna sul retro offerta come temporaneo rifugio ha sbarre di legno pesante, e Moehi vi si aggrappa mentre ricorda sé stesso bambino e i suoi sogni.

Che la fine sia imminente e inesorabile si avverte in ogni immagine, i meccanismi della sudditanza e della sottomissione sono assorbiti fino al midollo da una società di uomini violenti e corrotti oppure deboli e irresoluti.

Mohei è generoso, onesto, diverso, ma non abbastanza forte.

Sul cavallo che porta i due adulteri legati strettamente insieme al supplizio, mentre Amore e Morte celebrano ancora una volta la loro danza tragica, il volto di O-san è sorridente, Mohei le stringe la mano.

Andrei Tarkovsky

Il giudizio di un altro grande poeta del cinema, Andrei Tarkovsky, è certo il più appropriato parlando di Mizoguchi Kenji:

Un tremendo potere emotivo… un simile artista può distinguere le linee del disegno poetico dell’essere. E’ capace di oltrepassare i limiti della coerenza logica, comunicando la profonda complessità e verità di connessioni impalpabili e fenomeni nascosti della vita.”



Chikamatsu Monogatari

Giappone, 1954, durata 110’

di Mizoguchi Kenji

con Kazuo Hasegawa, Yoko Minamida, Eitaro Shindo, Kyoko Kagawa

 

_______________________

Le immagini presenti nell’articolo appartengono ai rispettivi proprietari e sono utilizzate al solo scopo di corredare il testo.