Boiling point – I nuovi gangster di Takeshi Kitano

Secondo lungometraggio di Kitano, stavolta anche sceneggiatore. Come attore appare solo a storia avanzata, un ruolo breve ma folgorante di yakuza di Okinawa, vendicativo, totalmente folle e bisessuale (è la parte più straniante e divertente del film).

L’incipit è l’interno di una latrina attigua al campo da baseball, qualche secondo e Masaki ne esce per entrare in gioco (da qui il titolo, 3-4 x jūgatsu, il punto vincente segnato all’ultimo minuto dalla squadra ospite in chiusura di campionato).

Pessimo giocatore di baseball, lavora ad un distributore di benzina e ha un bel mucchio di problemi di incomunicabilità. Rompe un braccio ad un arrogante cliente della stazione di servizio e questo scatena la vendetta della yakuza locale. Bisogna procurarsi pistole per questa faida senza esclusione di colpi, ma a Tokyo non è facile e allora si parte per Okinawa, città “senza legge”.

Scatta qui il corpo centrale del film, quasi prova generale del capolavoro successivo, Sonatine.

Scene fulminanti di violenza, stile impassibile, humour nero e grottesco affidato a volti immobili e poche parole, lunghe inquadrature sul prima e sul dopo gli snodi della vicenda (il durante tocca a noi immaginarlo), e riprese infinite sul mare dove Masaki, tra un colpo e l’altro, continua ad esercitarsi con una improvvisata mazza da baseball, molto più simile al bastone lanciato in aria da Kubrik che a quella imbrattata di sangue nazista di Tarantino.

Masaki è un non-eroe, serve una spinta per far partire il gioco, nella vita come nel baseball, e ci pensa Uehara, lo yakuza pazzo di Okinawa, a metterlo sulla strada dell’ostinazione tenace e senza speranza, ma necessaria. Se per ottenerla serve annullare tutti i comportamenti sani e razionali, ben vengano, allora.

Un attacco così diretto al conformismo della piccola borghesia giapponese (ma poi, si direbbe, di ogni età e paese), affidato ad una violenza visiva esibita così platealmente da sembrare uno sberleffo che ha l’aria di ridere di sé stesso, è quanto di meglio Beat Takeshi potesse mettere in campo per essere coerente con la sua dichiarazione: “I miei film sono per persone molto intelligenti e popolo molto stupido, non per le grandi masse”.

Priva di colonna sonora, unico pezzo “Akujo” di Miyuki Nakajima nella scena al karaoke, l’assenza di musica rende ancora più irreale e  virtuale il gioco al massacro condito dei momenti topici, sempre inaspettati, della Kitano way of life: un campo di straordinari fiori gialli di cui s’incorona e si fa riprendere in primo piano, la mitraglietta che si mette a sparare in alto da sola per sbaglio, nascosta nel gran mazzo di fiori, i colpi in testa che Uehara dà alla povera amante/puttana che ha scopato con un altro per ubbidirgli “… e tu solo perché te l’ho detto io ti fai scopare?” e la molla lì, per strada, così in macchina c’è meno gente e fa meno caldo… insomma un mondo di pazzi, ma, come si sa, quelli veri non sono sempre quelli che chiudono in manicomio, sembra dire Kitano.

Alla fine, dopo quel buio e solitario incipit di cui si è detto all’inizio, il film esplode nella conflagrazione totale del tir HYPER 2000EX guidato da Misaki con la dolce ragazzina  dalle lunghe trecce al fianco.

Torna l’incipit sui titoli di coda, si riprende col baseball.

Sogno o realtà? Cinema.

titolo originale: 3-4 x jūgatsu 

Giappone, 1990, durata 96’

di Takeshi Kitano

con Masahiko Ono, Yuriko Ishida, Takeshi Kitano, Minoru Iizuka

Takeshi Kitano

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