Dolls di Takeshi Kitano

Due marionette (dolls) del teatro bunraku, ognuna mossa da tre uomini, mettono in scena una storia d’amore folle e disperato, mentre il narratore dà voce al cortigiano Umegawa che supplica l’amante Chubei di non compiere una follia per amor suo e fuggire insieme verso l’ignoto, nella neve.

E’ Meido no Hikyaku (I messi dell’inferno) di Chikamatsu Monzaemon e fa da cornice alle tre storie d’amore che Kitano compone e intreccia con la stessa materia scarna ed essenziale di un haiku.

A montaggio alternato si svolgono tre storie nate nel tempo reale di un mondo di ordinaria umanità, in Giappone come nel resto del mondo (“quando parliamo di morte o di inconscio le storie sono simili ovunque. Penso che il mio film sia una storia universale”)

Prima storia

Matsumoto lascia la piccola Sawako spinto dai genitori ad un ricco matrimonio, lei impazzisce, lui la raggiunge e vagheranno fino alla morte, ”vagabondi legati” dalla corda rossa, simbolo nella mitologia giapponese di congiunzione tra due esseri, mondi e universi.

Seconda storia

Hiro, un tempo povero operaio e ora ricco boss yakuza, ritrova l’antica fidanzata che l’aspetta da trent’anni, ogni sabato, sulla panchina dove lui non è più tornato, ma il prossimo appuntamento sarà con la morte.

Terza storia

Nakui si acceca per stare accanto ad Haruna, fenomeno canoro degli Idol adolescenti che, sfigurata da un incidente, non vuol più essere vista. Il sangue di Nakui colpito a morte sarà spazzato via sul selciato da energici getti d’acqua.

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Storie d’amore mancato e dunque infelice, permanenza dell’amore nel mondo dell’impermanenza, impossibilità di essere eterni nel dominio dell’effimero.

Le tre coppie sono attraversate da un sublime negato nell’istante stesso in cui si manifesta, e restano così, come Matsumoto e Sawako, dolenti marionette in caduta libera lungo il pendio ghiacciato che finisce a strapiombo, un doppio suicidio d’amore, lo ‘shinju’, unica scelta consentita lì dove ognuno ha perduto qualcosa e non esistono né domande né risposte.

Al ramo intirizzito che sporge dalla roccia restano appesi gli involucri vuoti dei sontuosi costumi, e “oscillavano lievi al triste vento”. 

Le locations del film danno il colore delle stagioni ai costumi di Yamamoto Yohji, il rosso dell’acero e l’azzurro del mare, il bianco dei ghiacci e i pastelli della primavera fiorita.

Inizialmente avevo intenzione di catturare i colori che sono nel film. Poi, andando avanti, ho sentito inconsciamente il bisogno di legare questi colori a storie tragiche e allora sono emerse le bambole del teatro bunraku, mi sono accorto che si legavano bene con i colori che volevo catturare. Se il pubblico avverte il trapasso tra le bambole e i personaggi, ho raggiunto il mio scopo perché le immagini di questo film mettono in mostra le caratteristiche umane delle bambole e il carattere di “dolls” nell’essere umano”.

Le parole di Kitano aprono le porte del film, ci guidano in quel mondo che si sposta con movenze fluide fra reale e irreale, e le idee diventano segni, forme, movimento, pause, inquadrature ferme, sospese, variazioni cromatiche e sonore.

Si avverte per alcuni versi il richiamo alla materia concreta ed evanescente dei Sogni di Kurosawa e al delirio onirico della coppia di homeless, il padre e il figlio di Dodés-ka-dén, confinati come i due fidanzatini a vivere nell’abitacolo di una macchina, ma in Dolls la visione è disperata, apocalittica, affresco di una umanità senza destino perché senza giovinezza.

Il ricordo de La dimora delle bambole di Mishima o, ancor più, Storia di un promontorio dello stesso autore è doveroso, ma offre il pretesto a Kitano per dire “… preferisco scrittori che parlano di gente comune impazzita per il nuovo stile di vita che è stato imposto al Giappone dopo la guerra. Quando filmo quello stesso paese preferisco essere più un amico di questa gente che un fratello intellettuale come Mishima.

Forse l’unico accostamento che valga allora la pena di citare per quest’opera unica e sconvolgente è l’haiku di Basho:

Ammalandosi, in viaggio,

i sogni vagano, sospesi,


in una landa desolata.

Giappone, 2002; durata: 113’

regia di Takeshi Kitano

con Miko Kanno, Hidetoshi Nishijima, Tatsuya Mihashi, Chieko Matsubara, Kyoko Fukuda, Tsutomu Tageshige

musica: Joe Hisaishi

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