Kids Return di Kitano Takeshi

 

Film del ritorno, dopo l’incidente in moto nel quale Kitano ha rischiato di morire, sembrerebbe anche il film della perdita, un guardare ad un percorso di formazione che si avvolge su sè stesso nell’attesa interminabile di qualcosa che non accade.

E’ anche film della distanza, quella di chi occupa un territorio “oltre”, da cui tornare ad un tempo, Kids return, in cui, forse, sono leggibili presagi e ragioni del presente.

Film inconsueto, per Kitano, sempre concentrato sul qui e ora, in una sorta di impassibile necessità di “esserci” in modo pieno e reattivo, in quel presente reiterato, astratto e ogni volta catartico che rappresenta la sua cifra stilistica inconfondibile.

Il regista stavolta non recita, si tiene a distanza. Apre e chiude il film sullo scorcio di un palcoscenico ripreso da dietro le quinte, dove si esibiscono i due del gruppo di liceali di cui ha seguito il destino, realizzati nella vita mettendo in piedi spettacoli di manzai (il genere comico che Kitano ha praticato per anni).

Solo in apparenza un film minore, questo, nella serie dei capolavori, registra l’ impellenza di indagare nell’irrazionale che domina la storia e che impedisce di riconoscere le ragioni e il significato degli eventi, per ritrovare quello sguardo disperato e ironico che, nella distanza, consente anche il sorriso.

Shinji e Masaru sono ragazzi sbandati, studenti di liceo che passano il tempo a bighellonare, far scherzi agli insegnanti e “taglieggiare” i compagni deboli e impietriti. Kitano racconta la parabola di questi destini tesi verso il nulla e il naufragio di una forza della volontà che la vita non premia, intrecciando casualità e responsabilità senza un discrimine chiaramente individuabile.

Shinji poteva diventare un campione della boxe, Masaru uno che conta della yakuza, per un attimo ci hanno creduto e l’attimo dopo tutto è già finito.

Il loro bighellonare intorno alla scuola, quel riempire il loro tempo dissipato con giochi, scherzi e “bischerate” è il modo ingenuo, disarmato, che solo Kitano poteva riuscire a cogliere con tanta sottigliezza, di tirarsi fuori per non soffocare, per non indossare una divisa nera a diciott’anni e ascoltare inutili prof. con le loro inutili chiacchiere sugli alunni in sala insegnanti, per non andare a vendere bilance anche con turni di notte per tenere alta la produttività dell’azienda e finire con la macchina in una scarpata.

La boxe può diventare un inferno se devi star sempre sulla bilancia a controllare il peso e un bicchiere di birra diventa un sogno lontano?

Essere uno bravo nella yakuza serve solo a prender pugni e calci dagli altri che si mettono in quattro a dartele?

E allora tanto vale tornare su quella bicicletta e scorrazzare nel cortile della scuola sotto gli occhi scandalizzati dei prof e quelli divertiti e un po’ invidiosi dei compagni omologati, e se uno dei due chiede all’altro “Siamo finiti, vero?” , l’altro può solo rispondere con un bellissimo sorriso “Idiota, non abbiamo neanche cominciato!”.

E’ una bella amicizia, quella che racconta Kitano, e un bel modo di prendere in giro la vita. Con un disperato sorriso.

Kids Return

titolo originale: Kizzu Ritān

Giappone 1996 durata 107’

regia di Takeshi Kitano

musica Joe Hisaishi

con Masanobu Ando, Ken Kaneko, Hatsuo Yamaya

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