La moglie di quella notte

Con Sono yo no tsuma Ozu percorre la strada del noir, e la storia è presa da Oscar Shisgall, From Nine To Nine, romanzo di un filone narrativo molto diffuso all’epoca su riviste popolari.

Ozu taglia i tempi e restringe tutto ad una sola notte, guadagna così in tensione e rende omaggio al prediletto Ryutanji Yu, noto per i suoi racconti ambientati in unità di tempo e spazio e riferimenti a mode e gerghi occidentali.

La prima parte è in esterni e fa vedere la rapina nell’ufficio postale per procurarsi il denaro necessario alle cure della figlioletta di Ashizume, mascherato e febbrile nei gesti e nello sguardo.Segue la fuga, a piedi, uno stuolo di poliziotti alle calcagna, tra palazzi e colonnati altissimi ripresi dal basso,visioni metafisiche di una città spettrale.

La seconda parte si svolge tutta nell’appartamento, una sola stanza, dove la moglie Mayumi lo aspetta e veglia la piccola. C’è un dottore, compare a intervalli lungo il film, figura rassicurante con i suoi gesti rituali, come il lavaggio delle mani e quel fermarsi appoggiando sul tavolo la borsa da lavoro, calmo, comprensivo, dice che la bambina si salverà se riuscirà a passare la notte.

La piccola Michiko è smaniosa, vuole il papà, la buffa borsa del ghiaccio legata alla testata del letto con un cordino cade continuamente dalla sua testa. L’arrivo di Ashizume trafelato con i soldi della rapina sembra portare un attimo di sollievo.

Dura poco, piomba in casa il rude detective che ha inseguito Ashizume e la situazione è ad una svolta. Una svolta, intendiamoci, tutta giapponese e tutta alla Ozu. Mayumi si trasforma in un baleno in una dark lady made in Japan.

Viso dolce e triste ma sguardo fermo, figurina sinuosa nel modesto kimono, tenta dapprima di trattenere col suo fragile corpo il rude detective, poi con mossa tanto abile quanto inaspettata gli prende la pistola e, stringendo un po’ goffamente nell’altra anche quella del marito, lo tiene sotto scacco per tutta la notte, mentre Ashizume veglia la bambina inginocchiato alla sponda del letto. Ciò che conta, ora, è che la diagnosi del medico vada a buon fine e, costi quel che costi, la nottata deve passare, poi si vedrà.

Ozu si muove silenzioso fra le ombre della stanza, fotografa stampe, locandine cinematografiche alle pareti, scritte su manifesti che fanno venire in mente certi graffitisti americani alla Basquiat ancora di là da venire, sfiora gli oggetti di scena, il bollitore dell’acqua, la zuccheriera, il catino del ghiaccio, la bambola di pezza, con l’attenzione di chi “sente” le cose nel loro apparire, nella necessità del loro manifestarsi, nella fisicità che è esperienza della loro verità.

Il tempo scorre lento come solo di notte è possibile.

E il rude detective? Un capolavoro di ritratto psicofisico, si direbbe il classico gigante buono, prende perfino due pilloline per chissà che disturbi, e usa il bicchiere dov’è un fiorellino (che provvede poi a rimettere al suo posto).

La vita quotidiana è questo, sembra dirci Ozu, e ci costringe a dimenticare per un momento tutto il resto mentre ci chiediamo se il poliziotto sta per bere l’acqua del fiore. Assurdo, eppure lo seguiamo ansiosi mentre, quasi al ralenty, vuota il bicchiere e poi lo riempie. Lui aspetta paziente, deve compiere il suo dovere e certo sa che prima o poi il sonno tradirà Mayumi.

Soldi e pistole tornano infatti ben presto nelle sue mani, è l’alba, la bambina sta meglio, torna anche il sorriso. Mentre fuma l’ennesima sigaretta e giocherella con le manette facendole perfino cadere a terra (la famigliola raggruppata intorno al letto sobbalza al rumore) il rude detective sembra crollare addormentato.

La nostra piccola dark lady spinge allora il marito a fuggire, tutto sembra volgere al meglio (si sa che si parteggia sempre per il colpevole) e invece no, il detective aveva finto inutilmente di dormire, Ashizume è troppo onesto, torna indietro e riappare sulla porta con il cappello di traverso stile gangster (un’aria che assolutamente non aveva mentre compiva la rapina!) e dice che vuol scontare la pena, così dopo potrà dedicarsi tranquillo alla famiglia. I due, fumando sottobraccio, si allontanano nella fioca luce dell’alba, mentre dalla finestra la moglie di quella notte indimenticabile e la bimbetta salutano con la manina.

Ozu filma uomini e donne talmente consunti nella loro normalità da intrecciare miseria e nobiltà quasi per caso, procede per ellissi e sottrazione, la post-visione ci lascia a meditare su quanto abbiamo visto e i nostri pensieri a lievitare, mentre la visione è solo fascinum, magnetismo, la viviamo insieme al respiro delle immagini che sfilano sullo schermo, rivelatrici di un mal de vivre inesprimibile in gesti o parole.

Nel suo articolarsi in discontinuità, per cesure e sincopi, frammento e incompiutezza, il suo cinema affida risonanze emotive a brevi sguardi e piccoli gesti, scelte di momtaggio e durata delle riprese, movimento millimetrico della camera, qui ancora disposta a scorrere, in seguito quasi immobile. C’è una realtà di fronte a lui di sofferenza che non è eccezione, gesto magnanimo, destino eroico.

E’ vita comune su cui si esercita, profonda, la sua intelligenza.

titolo originale: Sono yo no tsuma

Giappone 1930 b/n, durata 65′

di Ozu Yasujiro  con Okada Tokihiko (Ashizume Shuji), Yagumo Emiko (Mayumi), Yamamoto Togo (detective Kagawa), Saito Tatsuo (il dottore), Ichimura Mitsuko (Michiko), Ryu Chishu

Per un’ampio repertorio della filmografia di Ozu Yasujiro:

Ozu Yasujiro

 

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