La signora dello zoo di Varsavia di Niki Caro

Sulle tragedie collaterali alla madre di tutte le tragedie, la Seconda Guerra Mondiale con Shoah e dintorni, molto si è scritto, detto, girato, esplorato in ogni angolo della Storia, gli archivi segreti al di qua e al di là degli Oceani sono ormai tutti rovesciati come calzini sporchi, eppure c’è ancora qualcuno che, rovistando, scopre qualcosa di non detto, e stavolta si tratta di animali, di uno zoo addirittura.

Strano che nessuno, o solo qualche animalista che non conosciamo, ci abbia pensato prima, ma tant’è, è giusto e doveroso chiedersi che fine abbiano fatto quei poveri esseri viventi, né più né meno viventi dei loro carcerieri umani, quando le bombe cadevano dal cielo sulle città dove, ahimè, erano stati destinati a sopravvivere, lontani dalle loro tranquille giungle, foreste, savane, deserti, mari e monti.

Vista la mania dell’essere umano di tenere in cattività specie esotiche di vario genere e provenienza per il divertimento di grandi e piccini, interessarsi della loro triste sorte in tempore belli era il meno che si potesse fare.

Una pessima sorte, questo è certo, si resta in trappola, se le sbarre non cedono, si scappa per le strade di città e paesi se le gabbie si aprono, si terrorizzano le persone e si finisce prima o poi nel mirino di qualche solerte nazista, allora, funzionario della Protezione Civile, oggi.

Questo è dunque il merito, unico, di questo film, aver sollevato, suo malgrado, una riflessione sull’argomento.

Suo malgrado perché evidentemente le intenzioni erano altre.

La Chastain, a cui meglio si addicono ruoli di donna in carriera, si finge la signora Antonina Żabiński (la storia è vera ed è stata raccontata in un romanzo da Diane Ackerman) e manifesta amore sviscerato per gli animali del suo zoo che cura, abbraccia e bacia con grande trasporto mentre il marito, uno spilungone dall’aria tragica dipinta in faccia ancor prima che scoppi la tragedia, fa l’uomo di fatica e raccoglie letame.

Entrambi, presi dal vortice dell’ occupazione nazista di Varsavia, essendo di sangue ariano non finiscono nel ghetto, e questo sarà una manna per circa 300 ebrei che si salvano in modo rocambolesco grazie a loro.

Basta infatti accordarsi con il nazista capo zoologo del Terzo Reich, Lutz Heck, personaggio che Daniel Bruhl interpreta senza mai regalarci un brivido giù per la schiena, per rendere lo zoo, ormai svuotato di animali esotici e destinato alla rottamazione, una porcilaia per nutrire la truppa con bei suini grufolanti da alimentare con vagonate di rifiuti provenienti dal ghetto.

Nei bidoni, con tanto coraggio e molta fortuna da parte del bravo Jan Zabinski, saranno nascosti gruppetti di ebrei sotto cumuli di spazzatura e fatti uscire dal ghetto.

Naturalmente i sommersi e salvati non finiranno in pasto ai maiali ma sosteranno a lungo nelle cantine di casa Zabinski, salendo al piano nobile solo di notte a bere the e far da corona alla musica suonata al piano da Antonina (che predilige Chopin).

Se tutto funziona e sono fucilate brutalmente solo due povere donne spedite in una pensione extra moenia, ben ossigenate biondo platino per sembrare polacche (perché poi le abbiano traslocate è cosa che nessuno dice) lo dobbiamo a Bruhl/ Heck il quale, molto poco credibile nel ruolo di nazista buono (sarebbe un falso storico difficile da digerire) è malleabile perché nutre una passioncella per la bella Antonina.

E’ la linea romantica del film, che riesce a farsi largo a gomitate come terzo polo tra l’istanza animalista e il pensiero rivolto al ghetto.

L’innocenza di Antonina, che riesce a tenere a bada le deboli avances del nazista, la gelosia del tutto fuori luogo del marito a cui lei ricorda: “E’ lui il padrone”, la nuova gravidanza della donna che partorirà una bella bambina bionda quasi sotto i bombardamenti sancendo così il suo ferreo amore coniugale, tutto collabora a dare al racconto un’aura stranissima di triste favola a lieto fine.

E in effetti il lieto fine c’è, la guerra se Dio vuole finisce, Jan, che tutti credevamo morto, torna (una breve sequenza e la rivolta del ghetto è presto raccontata con la sua caduta da eroe), la famigliola si riunisce e vissero tutti felici e contenti.

Incredibile ma vero, ecco come rendere una pagina tragica della nostra Storia una lacrimevole operetta.

I fatti sono autentici, tutto accadeva nella tremenda realtà di un tempo in cui, purtroppo, c’era bisogno di eroi, e i coniugi Żabiński riuscirono ad esserlo, come tanti che in quegli anni si scoprirono capaci di gesta inimmaginabili prima, nella loro tranquilla vita privata.

“Romanzare” la loro storia con scelte di regia e sceneggiatura del tutto discutibili non è rendere un buon servizio alla causa, lo sfondo storico diventa un pretesto, le storie individuali prendono un taglio da soap opera, la Chastain in bicicletta inonda la platea di piacevoli effluvi primaverili e i suoi baci sulla bocca del bisonte sono un inno alla vita che ricomincia dopo tante rinunce.

Ma ciò che conta è che lo zoo riprenda a funzionare a pieno ritmo, con i suoi begli esemplari da esposizione.

Attenzione però, non dare da mangiare agli animali, avvertono i cartelli!

La signora dello zoo di Varsavia

titolo originale: The Zookeeper’s Wife

USA Repubblica Ceca Gran Bretagna 2017   durata 127’

regia di Niki Caro

con Jessica Chastain, Daniel Brühl, Johan Heldenbergh, Efrat Dor, Iddo Goldberg, Shira Haas, Michael McElhatton, Anna Rust, Goran Kostic, Magdalena Lamparska, Brian Caspe

 

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