La valle del peccato di Manoel De Oliveira

Dalle finestre di Romesal si vedeva la Valle di Abramo, la terra dei Païva, dei Lumiares e dei Semblano

Inizia così la voice over di Mario Barroso (nel doppiaggio Aroldo Tieri) mentre dal treno in corsa sfilano le immagini della Valle.

Con fedeltà letterale al romanzo di Agustina Bessa-Luìs, la voce accompagnerà costante fino all’ultima scena il lungo sviluppo della storia della quattordicenne Ema (Cécile Sanz de Alba) figlia, orfana di madre, di Paulino Cardeano (Ruy de Carvalho).

La sua bellezza diafana e magnetica, fragile e apparentemente accessibile, è già ora inquietante per chi vi si avvicini incapace di penetrarne il mistero:

Ema esprimeva il limitare di qualcosa. La sua bellezza era una esuberanza e dunque un pericolo.” avverte il narratore, preparando il commento delle due dame Mello, confinanti con i Cardeano, a cui è doveroso far visita:

“Tutto in lei ha un’aria sinistra, a cominciare dalla bellezza… La sua bellezza si confonde con una sorta di genio” sibilano le due anziane donne.

“Ema sorrise come per mordere e le sorelle conclusero a colpo sicuro che sarebbe stata una donna pericolosa”

La bellezza di Ema, giunta all’età da marito (Leonor Silveira), è sempre più splendida e inquietante, fatta di raffinata eleganza percorsa dalla luce di uno sguardo intenso e resa ancor più eccitante da una leggera zoppìa, che si vuole sia quel difetto che ogni bellezza perfetta esige come tributo.

“Ema aveva la capacità di illuminare il desiderio e farlo correre come un folletto sui cadaveri della virilità mitica e ostinata. Il sacrificio di Ema era di dispiacersi nella vita.La bellezza si apriva alla superficie setosa d’un dolore addormentato. Ella era come una bestia selvaggia, affamata, il cui sguardo aveva già la grazia del predatore. Sentiva che i legami con la mediocrità e l’amore delle strade dell’infanzia erano finiti e così come disintrecciava i suoi capelli così il suo cuore perdeva una sorta di contrazione dove ancora provava una gioia che non avrebbe più ritrovato”.

Divenuta moglie senza amore del dottor Carlos Païva (Luís Miguel Cintra), attratto da lei fin dal primo incontro a 14 anni (sentiva Carlos attaccato a lei come il verme alla terra, lontano dall’essere romantico sperato e che non trovava mai), madre di Lolota e Luisona, figlie che sentirà sempre lontane da sè, circondata e quasi sommersa dall’adorazione maschile che sempre suscita con la sua sola presenza, diventerà l’amante di Fernando Osorio (Diogo Dòria), ricco possidente della tenuta Vesuvio, poi del giovane Fortunato (Filipe Cochofel), ragazzo di vari mestieri della villa e infine dell’ancor più giovane Narciso Semblano (Joaquim Nogueira), ispirato violinista in erba e figlio dell’ambigua e insinuante Maria do Loreto (Gloria de Matos) in una inesausta ricerca di quello che non troverà mai.

Una storia antica, la storia di una rosa, è quel che narra il vecchio Manoel de Oliveira” scrive Roberto Escobar, e come si può narrare la storia di una rosa se non parlando della sua bellezza effimera?

Perchè rosa, se al contatto col vento cessa di essere? Ma nel fluttuare ella è già… Io non sono niente, sono uno stato d’animo in equilibrio”.

Così Ema esprime la sintesi della sua vita.

Un viso tale può giustificare la vita di un uomo “ dirà nel finale Carlos Païva, il marito umbratile, di comprensiva accondiscendenza, mostrando di aver capito meglio di chiunque altro “questa bellezza che sembrava perdersi se non fosse stata ammirata”.

Questo è dunque il poema di Ema, delicatissima elegia cantata da un poeta che fa delle immagini e delle parole un impasto perfetto, lo irraggia con ripetizioni incessanti di Beethoven, Moonlight Sonata” e Debussy, Clair de Lune, modula accordi di straordinaria profondità nel procedere con tranquilla lentezza nei quadri della vicenda, mentre la voce onnisciente del narratore guida la lettura degli eventi, a volte l’anticipa, spesso ne è esegeta partecipe, e le immagini acquistano via via vita autonoma, plasmate dalle possibilità della fotocamera che ne registra le molteplici rifrazioni, in un canto amebeo che compone i piani del reale in un flusso continuo e rivelatore.

Sotto la superficie di vite che scorrono in un lungo arco di anni, durante i quali si consumano incontri, legami, nascite e morti, resiste immutato il dramma di Ema e del suo narcisistico e masochistico aggrapparsi ai propri sogni per rispecchiarvisi ed esserne, inevitabilmente, delusa.

Ma come Bovary? Ema non provava desiderio che nell’immaginazione, tutto ciò che reclamava dagli uomini era di essere un oggetto del desiderio. Non era un piacere, ma un modo di pagare il desiderio dell’uomo.

Il tema del bovarismo è centrale, ma è anche un pretesto accuratamente esibito per essere negato, contestato, oltrepassato.

Ema è consapevole della sua fama di “bovarina”, il suo dialogo con l’amico Lumiares, uomo di molte letture e amabile distacco dal tumulto della vita, è chiarificatore sul senso da dare alla sua vita:

Non ho mai capito perché mi chiamano Bovarina, e ho già letto il libro due volte. Flaubert ha detto “Madame Bovary c’est moi” e Flaubert era un uomo. Non sono Bovary e nemmeno Flaubert, non c’è che un nome, Ema, ma è un’altra.

 A queste parole Lumiares/De Oliveira darà la sua diagnosi esatta del mal de vivre di Ema:

 Tu non distingui il reale dall’immaginario, la commedia prevale sulla vita, sulla tua vita. Recitare un ruolo riduce il danno ad una strategia. Non devasta e non ha effetti sulla realtà.

Ema è colpita: E’ bello sentirti parlare, ma è la verità?

Non so – sorride Lumiares – c’è uno spazio libero nel pensiero che non sarà mai riempito. E’ quello che ci permette il linguaggio, un esercizio di calcolo che rende possibili le relazioni fra le persone. Noi diciamo: la terra è rotonda, o la donna è l’utero.Questo non ha senso, se cerchiamo l’esattezza attraverso le parole.

Relatività del linguaggio che si scontra con il disagio sordo ed inesprimibile del vivere, dove, alla noia della routine e al tedio del susseguirsi monotono di incontri sempre deludenti, Ema non può che opporre la luce di una bellezza da cui si lascia cullare negli specchi che affollano le scene, a sottolineare un rigetto del mondo reale in una dolce evocazione di mondi immaginari.

Ema trascorre gli anni, ma il tempo non ha potere su di lei, icona sempre intatta della bellezza muliebre in un mondo di uomini e donne del tutto estranei, la solitudine è la sua cifra distintiva.

Solo con la serva sordomuta (Isabel Ruth) troverà quel capirsi al di là delle parole e delle storie di classe e di sesso che hanno sempre fatto muro nella sua vita, e a lei offrirà una rosa prima di partire per il suo ultimo viaggio.

Le immagini della Valle di Abramo attraversata dal fiume Païva, confine sud del distretto di Lamego, scorrono in apertura e tornano incessanti in una continua interrelazione fra ambiente e personaggi.

Panoramiche sui vigneti, sui terrazzamenti, sull’ansa del fiume ripresa da prospettive aeree, si alternano a campi ravvicinati su pergolati e verande, lavatoi e facciate di palazzi di ricca aristocrazia terriera. Interni di sicura opulenza parlano di un mondo dorato in cui i personaggi vengono collocati, il più delle volte, a comporre icone di ieraticità bizantina, in inquadrature fisse da cui si sprigiona un sottile spirito satirico. Una società immobile nei suoi rituali, nelle sue paranoie, nei suoi vizi ammantati di virtù, è scrutata al microscopio nell’inquadratura di sguardi su cui la macchina indugia sorniona, nell’accanita conservazione di ruoli e divisioni di classe, nello strano fluttuare del film tra una dimensione sicuramente contemporanea e un tono ottocentesco che ne accentua il carattere paradigmatico.

In questo spaccato di un tempo tra reale e irreale grandeggia Ema, adorata come la donna ideale e infelice come una donna reale.

Non “bovarina”, dunque, solo Ema, e forse neppure lei, ma un sogno che scompare nel fiume con il suo vestito bianco e blu.

Opera di un grande artista inesausto, che ha attraversato un secolo, Manoel De Oliveira ancora a 104 anni è presente a Venezia69 con O Gebo e a sombra, mentre con A Igreja do Diabo ha già firmato il suo lavoro del 2013.

E’ morto il 2 Aprile 2015.

La valle del peccato

titolo originale: Vale Abraão 

Portogallo/Francia/Svizzera, 1993 durata 187’

regia di Manoel de Oliveira

con Leonor Silveira, Cecile Sanz De Alba, Luís Miguel Cintra

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