Le fils de Joseph di Eugène Green

Al cardinale Maffeo Barberini che fu poi Urbano VIII, sommo pontefice, oltre il ritratto fece il sacrificio di Abramo. Il quale tiene il ferro presso la gola del figliuolo che grida e cade

Così testimonia il Bellori a proposito della tela di Caravaggio che Eugène Green sposta dagli Uffizi alla monacale stanza da letto di Vincent (Victor Ezenfis), un ombroso adolescente figlio di ragazza madre e alla ricerca disperata di un padre.

Sezioni orchestrali da Le poème harmonique di Emilio de Cavalieri, l’integrale della Lamentation de la mère d’Euryale di Domenico Mazzocchi e momenti della Missa Sancti Wenceslai di Adam Michna z Otradovic per l’esecuzione della Capelle Regia Praha accompagnano il cammino del ragazzo dai saliscendi del mètro parigino all’ultimo viottolo di campagna di fronte al mare, quando guida un asinello che somiglia tanto al Balthasar bressoniano.

Il barocco musicale è la fonte sonora di cui Green intesse la filigrana dei suoi film, da Toutes les nuits, film di esordio del 2001, a Le fils de Joseph che a quello si collega idealmente per tante corrispondenze. La parola si fa musica, immagine, fonema che dalla persona si estende all’altra creando legami, empatia o odio, comunque vita:

“Fin dalla più tenera infanzia so che è la parola che fa luomo e lo porta a distinguersi dalle altre creature viventi. Una lingua è una versione particolare del mondo, e la lingua che si parla determina in parte ciò che si è.” 

Parole di Green necessarie per leggere il suo percorso artistico che ha fatto convergere nel cinema i linguaggi di tutte le arti orientate a parlare dell’uomo e della sua storia millenaria alla ricerca di sé.

I miei personaggi principali sono in generale in cerca di una conoscenza spirituale, e una comunicazione reale si stabilisce tra di loro attraverso lassenza, di solito per mezzo di una persona o di un elemento intermediario”.

Ogni film di Eugène Green è un capitolo dello stesso romanzo e ogni capitolo un’ascensio ad Superos che parte dal basso, spesso dai passi sul selciato di folle anonime, un intreccio variegato di piedi e gambe di uomini, donne, bambini che sfilano sullo schermo senza corpo, solo gambe.

E poi lo sguardo sale e le figure prendono forma, si collocano in posa ieratica davanti al pubblico, guardano in macchina, il dialogo è scandito come sul palcoscenico di un teatro, Green non cerca la “verosimiglianza”, il naturalismo che illude, il suo cinema è il dispositivo, la materia dell’opera, ciò che serve all’artista per plasmare in forme varie la sua idea, e dev’essere visibile, tangibile.

Quella di Vincent in Le fils de Joseph è una lunga storia che dai lontani tempi biblici torna a vivere in un piccolo ragazzo senza qualità, concepito chissà come e sopravvissuto per quell’amor materno che, solo, è capace delle imprese più ardue.

 Il padre, Oscar, che alla fine delle sue ricerche il giovane riesce ad individuare (la madre glielo aveva sempre nascosto) è un uomo egoista e pieno di sé, un Mathieu Amalric invecchiato e imbruttito in una magnifica interpretazione del personaggio.Non ha riconosciuto il figlio alla nascita, lo ignora del tutto, è un ricco e mondano editore con segretaria amante e moglie derelitta, come da copione scritto e riscritto migliaia di volte.

Quello che invece non è stato mai scritto è il capovolgimento del quadro di Caravaggio, con il coltello nelle mani di Isacco.

Abramo/Oscar cade a terra e trema, la scena caravaggesca in esterno si sposta nello studio del padre, chi ferma la mano di Vincent non è un ricciuto angelo biondo ma una luce chiara sulla parete, la “sapienza”, quell’approdo salvifico che libera e aiuta a “cessare di essere ciò che non si é e divenire ciò che si é”.

Parole di Joana, la monaca di Lisbona di A religiosa portuguesa (2009) a Julie, una donna sola nel deserto della sua vita.

“Sapience n’entre point en âme malivole, et science sans conscience n’est que ruine de l’âme”.

E’ dunque l’assunzione di responsabilità ciò che fa uomo l’uomo, e la ricerca di Vincent è la strada per arrivarvi, in cinque tappe, bibliche e mitologiche insieme, una sintesi e una riscoperta della storia dell’umanità scritta da sempre ma sempre nuova:

1 L’orfanotrofio

2 Il vello d’oro

3 Il sacrificio di Isacco

4 Il falegname

5 La fuga in Egitto

Una famiglia ricostruita, la scoperta di un padre, Joseph (Fabrizio Rongione), più vero del padre biologico, un incontro casuale sulla scena del crimine incompiuto e la luce che si accende negli occhi sempre cupi di Vincent. Infine l’amore, che può tornare ad essere un valore per la famigliola che si avvia lungo la spiaggia assolata verso la nuova Bethlehem.

 

Una storia dei tempi nostri e un’eco biblica che manda vibrazioni, corporeità e spiritualità nel teatro umano di Green, intriso di trascendenza eppure sempre così rivolto all’uomo, affinità dichiarata di Green con l’estetica di Bresson ma anche cinema unico, complesso e semplice insieme, una sorta di comunità magica fra le cose del visibile e il loro rovescio immateriale(Libération).

Le fils de Joseph

Francia Belgio 2016 durata 115’

regia di Eugène Green

con Victor Ezenfis, Fabrizio Rongione, Natacha Régnier, Mathieu Amalric, Maria De Medeiros, Jacques Bonnaffé, Dominique Blanc

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 per un’ampia rassegna sulla filmografia di Eugène Green:

GREEN EUGENE

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