L’impero della passione di Oshima Nagisa


La genesi de L’impero della passione è raccontata da Oshima in una memoria interessante per cogliere il significato di un film girato due anni dopo Ecco l’impero dei sensi, capolavoro che inevitabilmente avrebbe messo in ombra qualsiasi nuova impresa con tema pressochè analogo.

Infatti il giudizio critico generalmente condiviso è di “film freddo e manierista”, “tocco sensibile, fin troppo compassato, che perde in lucidità quello che guadagna in pathos e in calligrafia”, “dà l’impressione di essere un sunto (uso esportazione?) del miglior Oshima, un’antologia di citazioni”, “Il postino suona sempre due volte nel Giappone del 1895”,Dopo le polemiche del precedente Ecco l’impero dei sensi Oshima arretra di qualche posizione e realizza un’opera meno riuscita”.

Questo breve collage di giudizi dà la misura dell’accoglienza di un film posto fra il capolavoro precedente e Furyo, altro apice del genio di Oshima di cui certo questo non regge il confronto.

Ma se la storia di nessun artista è costellata di esclusivi capolavori, ogni tappa del suo percorso ha però un senso nello sviluppo della sua poetica e come tale va indagato per non ricadere nella vecchia concezione idealistico-crociana del bello e non bello.

Oshima racconta, dunque, nella breve brochure allegata al DVD della RHV, di un libro inviatogli da una sconosciuta, Itako Nakamura, dal titolo Takashi Nagatsuka-Tre generazioni per rendere una terra fertile.

Nella lettera di accompagnamento Itako diceva: “Sono certa che il regista de “L’impero dei sensi”comprenderà come in questo cupo periodo della storia del Giappone quale fu l’era Meiji [1868-1912], l’amore è esistito.Questa opera comporta numerosi refusi, ma non sarebbe esistita senza la complicità di una rete di amici incuranti delle difficoltà”.

In quel periodo Oshima stava scrivendo una sceneggiatura molto vicina alla storia vera del risciò ucciso dai due amanti nel 1896, nel villaggio vicino a quello di Nagatsuka e della famiglia Nakamura.

Inoltre, il romanzo La terra di Nagatsuka era uno dei suoi prediletti e la sintonia con la ricostruzione di quel mondo contadino trovata nel manoscritto di Nakamura era interessante.

Dice infatti:”Il mio soggetto si trovava molto vicino a quello di Nakamura e descriveva il desiderio d’amore dei contadini che vivevano in una condizione di sofferenza… di giorno in giorno i personaggi del manoscritto mi si sono imposti fino a prendere tutto il racconto”.

Il film fu girato in un villaggio abbandonato ricostruito in tre mesi, location suggestiva fra le montagne selvose di quel Giappone rurale di antiche tradizioni e secolare abbandono, dove più forti possono esplodere passioni selvagge e più è connaturata la presenza dell’orrido, sia esso il fantasma di Gisaburo che comincerà ad ossessionare le notti di Seki, sia la messa in scena, tra onirica e reale, che traduce in immagini i demoni della colpa che assalgono i due assassini, fino all’ultimo uniti da un vincolo profondo che neanche la tortura riesce ad annullare.

L’impero della passione descrive un legame fra più soggetti, a differenza del rapporto esclusivo e divorante del film precedente, ed è quello fra i due amanti, innanzitutto, e il marito di lei, il conducente di risciò il cui cadavere, gettato nel pozzo, tornerà drammaticamente alla luce nel recupero poliziesco, ma la cui presenza fantasmatica incombe su tutto il dramma.

Pervade il film un’atmosfera sepolcrale, “ossianica”, interni ed esterni trasudano senso di oppressione, ampie zone d’ombra quasi inghiottono gli uomini. Il dialogo è essenziale, come si conviene ad un mondo poco alfabetizzato, dove la comunicazione è ristretta al quotidiano trascorrere da una fatica all’altra.

Eppure Oshima riesce sempre a farci leggere tutto il non detto, e qui il tema dell’Eros non vuole avere le valenze esclusive che hanno fatto dell’altro film una tappa fondamentale nella letteratura del genere, c’è un realismo che carica di significato lo stesso affiorare della carnalità all’inizio del rapporto fra i due amanti e a questo si aggiunge, a tratti, come nello stupendo finale in mezzo alla neve, il tono di favola d’altri tempi, un po’ racconto morale e un po’ racconto dell’orrore da ascoltare davanti al focolare

Seki è una donna serena, ama il marito con dolce dedizione, lo assiste nei suoi ritorni a casa distrutto dalla fatica. Con la stessa carica di dolcezza vivrà il rapporto con Toyoji, a cui la lega l’esplodere di un’attrazione erotica che ha anche il sapore di una fuga da una condizione di miseria e solitudine a cui la vita miserabile nel paese la condanna.

Il tema sociale e politico è sempre forte in Oshima, anche mentre ci parla della natura dell’individuo e delle sue pulsioni erotiche. La macchina indugia molto nelle riprese di interni sordidi di miseria ancestrale, il carretto trascinato dal povero Gisaburo corre ripreso dal basso e le due gambe storte trotterellano senza tregua, il ritorno a casa è riscaldato da dosi massicce di sakè che lo fanno crollare, trascurando così la bella Yoshi.

Toyoji è giovane e bello, ha vent’anni meno di lei, la desidera, vive da sbandato con la divisa militare di quando ha lasciato l’esercito e non ha trovato più nulla da fare. La decisione di uccidere Gisaburo è di Toyoji, figura schizzata con poche pennellate che però illuminano una strana ambiguità, è un amorale ma non è un cinico, vive alla giornata ma il legame con Seki è duraturo, fino alla morte.

Seki subisce la violenza della sua condizione, la riscatta con una passione che la monopolizza, trasformare in fantasmi il senso di colpa è come respingerli all’esterno da sé e quando non le resterà alternativa diventerà cieca, ma la sua passione resterà integra.

Una certa vicinanza, e nella trama e nel cupo senso di oppressione che ne emana, è possibile stabilirla con la Thérèse Raquin di Zola, ma l’esito delle due storie è molto diverso, pur essendo in entrambe segnato dalla morte.

Amore e Morte, come sempre, o Amore è Morte?

L’impero della passione

titolo originale: Ai no borei 

Giappone 1978 durata 110’

regia di Nagisa Oshima

con Kazuko Yoshiyuki, Tatsua Fuji, Takahiro Tamura, Takuzo Kawatani


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