L’insolito caso di M.Hire di Patrice Leconte

Una firma prestigiosa per la colonna sonora, quella di Michael Nyman (che collaborerà con Leconte anche l’anno dopo per Il marito della parrucchiera), un racconto di Simenon come fonte letteraria, Les fiançailles de Mr. Hire, già portato sullo schermo da Duvivier nel ’46 (Panico), una lettura in chiave psicologica e intimista di un thriller classico tinto di noir, e L’insolito caso di M. Hire si colloca a pieno titolo nel repertorio dei film d’autore, con una scrittura filmica accurata, condotta con mano felice nella costruzione di atmosfere, nel dosaggio dei colori desaturati, freddi, nel gioco di inquadrature claustrofobiche che si alternano ad altre, ampie e raggelate, e infine nella complessità dei personaggi, un uomo e una donna di disarmante ambiguità, sottilmente e puntigliosamente indagati fino a scalfirne la maschera e far emergere un mondo interiore insospettabile.

Il giallo diventa quasi una sottotrama, un pretesto per dire altro, parlare di mondi che uno si porta dentro, storie di emarginazione e pregiudizio, forme che l’amore può assumere, assoluto o fasullo, interessato e finto o totalmente vulnerabile e capace di portare alla morte. Legàmi, comunque, che la convivenza fra esseri umani tesse, nel tempo e nello spazio, e ne nascono intrecci, storie da raccontare, vite solitarie, frustrate, che per un attimo si tendono alla ricerca di un vivere diverso.

Stavolta si tratta di un sarto di mezza età, è solo ed ha tutta l’aria di star bene così, non gli piace aver gente intorno. Lui non piace ai vicini, naturalmente, né ai loro odiosi figlioletti che giocano in cortile.

Alice, dirimpettaia giovane e carina, ha dimenticato di mettere tende alle finestre e le pulsioni voyeuristiche di M. Hire si rivelano incontenibili, ragion per cui la finestra da cui osservarla in segreto diventa il suo posto preferito.

Però, ed è qui la prima sorpresa, si tratta di amore.

Hire è un ometto sempre vestito di nero, che si sospetti di lui per l’assassinio di una ragazza del quartiere è addirittura scontato e il suo gesto di piccolo eroe del quotidiano consiste nel non rivelare ciò che invece sa e che ha visto per non compromettere l’amata Alice.

Alice , da parte sua, si avvicina a Hire per puro opportunismo, è subito evidente, le interessa sapere cosa lui sa di Emile, il fidanzato da coprire. Ma, sorpresa anche qui, c’è qualcosa in più in questo approccio, un’attrazione che mette a nudo parti del suo “io” insospettabili.

Nessuna indulgenza al romanticismo, a Leconte interessa lavorare sottilmente alla definizione di tonalità emotive e osservare le interrelazioni fra il testo filmico e quello sonoro offre una buona chiave di lettura, la scelta del quartetto op.25 in sol minore per violino, viola, violoncello e pianoforte di Brahms è del regista e Nyman, come già nella lunga collaborazione con Greenaway, costruisce il tema sonoro elaborando il pezzo classico e facendolo poi convivere con l’originale, quello che M.Hire ascolta mentre osserva Alice nel vano buio della sua finestra.

La riconoscibilità dell’elaborazione rispetto all’originale è qui più sfuggente che non il Mozart di Greenaway, ma sembra si possa applicare anche a questo film il principio che Nyman afferma aver seguito nel lavoro con l’altro regista: “La musica non deve essere utilizzata per il suo carattere emozionale ma come un mezzo di identificazione, deve cioè identificare il tempo e il luogo”.

Affidare alla musica questo impegno di localizzazione della vicenda conta molto in un film come questo, in cui tempo e spazio sono solo apparentemente definiti, se è Leconte stesso ad affermare: “Non si può veramente dire a che epoca il film appartenga”.

E’ dunque lo schermo il luogo reale ed è il regista a segnarne i confini (“Ho cominciato a fare da solo le inquadrature […] e da allora non ho più lasciato la macchina da presa a nessuno, semplicemente perché l’inquadratura fa parte integrante della regia).

Quello che mette in scena è lo spazio del non detto, del non realizzato, lo spazio dello sguardo, quello che si nasconde nelle zone d’ombra: “Nel cinema invece spesso tutto è troppo chiaro, si mostra tutto, mentre sono le zone d’ombra quelle interessanti, nel cinema come nella vita”.

L’insolito caso di M.Hire

titolo originale: Monsieur Hire

Francia 1989, durata 80’

regia di Patrice Leconte

con Michel Blanc, Sandrine Bonnaire, André Wilms, Luc Thuillier

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