Lo spirito più elevato di Kurosawa Akira

Secondo lungometraggio di Kurosawa, Lo spirito più elevato fu girato su commissione della Marina Militare, mentre le sorti della guerra volgevano al peggio per il Giappone, e doveva essere un film di propaganda, costruito su temi tipicamente “giapponesi”: lavoro di squadra, dedizione e senso del dovere, piccoli eroi del quotidiano che fanno grande la nazione.

La sconfitta del paese ormai in arrivo si avverte nel tono del direttore della fabbrica (una piccola parte di Takashi Shimura) che proclama dall’altoparlante la necessità di aumentare la produzione, gli uomini del 100% e le donne del 50%, (si tratta di lenti di precisione destinate all’aviazione), in una patetica quanto superflua esortazione allo stakanovismo di massa.

L’adesione è infatti unanime e addirittura le ragazze protestano per chiedere che la loro quota di produttività sia fissata almeno al 70%.

Il film scorre su un binario di estrema linearità, ritrae esclusivamente il gruppo di giovani operaie, guidato dalla piccola ma determinata caposquadra Watanabe e da una sempre sorridente “maestra”, in un clima quasi da collegio, vita monotona scandita dal lavoro sempre più duro, partite a pallavolo ed esercizi musicali di gruppo, brevi contatti con i dirigenti per controlli periodici di produttività.

L’obiettivo da raggiungere è però estremamente edificante e le ragazze sono tutte molto motivate, al punto da nascondere febbre da stress, voler tornare a tutti i costi alla catena di montaggio anche dopo rovinose cadute dal tetto, trascorrere un’intera nottata (Watanabe) cercando fra migliaia una lente sfuggita al controllo (potrebbe causare la morte di soldati!) e riuscendo a tenersi sveglia con una canzoncina che le si affievolisce sempre di più in bocca.

L’impresa di Kurosawa questa volta è stata davvero improba, riuscire a tenere il controllo di un materiale altamente esposto ai rischi dell’ agiografia e della deriva retorica non è cosa facile, e di certo in futuro non girerà più opere su commissione.

Lo spirito più elevato è infatti senz’altro un’opera minore, il condizionamento culturale è forte, ma la padronanza dei mezzi linguistici è sempre di qualità indubbia.

Si avverte soprattutto il magistero della scuola sovietica (in particolare di Ejzenstein) nelle inquadrature, nell’equilibrio dei volumi, nel montaggio delle scene.

Mano sicura è anche nel taglio che Kurosawa dà alle vicende che si susseguono in questo microcosmo, dove piccoli drammi personali e collettivi, esplosioni di gioia o improvvisi cedimenti, orgoglio patriottico o semplici e solidali legami di amicizia vengono vissuti con una immediatezza che immunizza da derive di retorica patriottarda.

La dedizione al lavoro di queste ragazze/operaie, il senso della comunità che le contraddistingue, la caparbia lotta contro tempo e stanchezza non suonano perciò come espedienti meramente propagandistici; rigore, responsabilità e dolcezza convivono in loro con misura e l’impressione che alla fine ne deriva è la genuina freschezza che emana dai numerosi primi piani di quei volti sorridenti e sempre più stanchi, provati dal ritmo sfiancante del lavoro.

E’ quell’epica del quotidiano che in Kurosawa si fa riconoscere ogni volta come cifra stilistica capace di convivere, con i suoi modi e i suoi toni, con l’epica guerriera delle grandi saghe dei samurai.

Lo spirito più elevato

titolo originale: Ichiban utsukushiku

Giappone 1944, durata 85’ b/n

regia di Kurosawa Akira

con Takako Irie, Yoko Yaguchi

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