No, o la folle gloria del comando di Manoel De Oliveira

“Dedico questo film ai miei nipoti”

La storia del Portogallo che De Oliveira racconta ai nipoti comincia da Viriato, indomabile capo dei Lusitani in guerra per la libertà contro le legioni romane (Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant disse di loro Calgàco, capo dei Caledoni in Bretagna) e canta per ampie arcate temporali l’epopea di una civiltà “chiusa tra il mare e la Spagna”, destinata perciò a guardare oltre l’orizzonte, al di là dell’Oceano.

Le quattro grandi sconfitte del Portogallo (Viriato contro i Romani, la battaglia del Toro contro gli Spagnoli nel secolo XV, la sconfitta contro i Mori nella battaglia di Alcazàrquivir nel 1578 e la guerra degli anni ’70 del ‘900 per difendere l’ultimo degli imperi coloniali) sono tappe di un lungo racconto affidato al tenente El Alférez Cabrita (Luis Miguel Cintra) in viaggio di trasferimento nelle foreste dell’Angola con un drappello di soldati un po’ illusi e un po’ rassegnati, scarsi conoscitori della storia ma armati di tutto punto.

Sembra il set di Platoon, ma è il 1974 all’altro capo del mondo, è in corso un’operazione militare in Angola in difesa del più longevo degli imperi coloniali ed è la vigilia della Rivoluzione dei Garofani e della caduta di Salazar.

Con la sua capacità inimitabile di parlare dei massimi sistemi partendo dal filo d’erba, di fondere passato e presente in una sintesi illuminante, ibridando generi e stili e plasmando la materia filmica per farne una puntata del poema dell’uomo, De Oliveira scrive la storia del suo Paese facendola sembrare la storia del mondo.

La sensazione di smarrimento è la stessa, che si assista ad un conflitto a fuoco nel sud est asiatico o in Mozambico e Angola, che ci sia un cadavere al sommo di una pira per l’incinerazione nel II a.C. o un’immensa pianura medievale sparsa di corpi destinati a fosse comuni.

Passati a fil di spada o fatti a pezzi da una granata, la storia è uguale per tutti.

Fare della penisola iberica una sola nazione fu il sogno spesso infranto da guerre perdenti e tentativi pacifici di unione affidati ad un matrimonio tragicamente finito (don Alfonso, sposo di Isabella di Castiglia, morto per una caduta da cavallo). Nacque in Portogallo, nel seicento, l’utopia del Quinto Impero di Padre António Vieira, un regno universale voluto da Cristo sulla terra, che unisse tutti i continenti, razze e culture.

Utopia?- dice pensoso il tenente come parlando a sè stesso- Sì, ma che si oppone al disegno di dominare il mondo con la forza. Russia, America, il quinto impero della forza.

De Oliveira ha lo sguardo lungo verso il futuro, e così può guardare il passato con la serena saggezza di chi ha visto da vicino il declino dello Estado Novo e del colonialismo sotto il regime di Salazar.

António de Oliveira Salazar

La storia del suo Paese, delle vittorie effimere e delle pesanti sconfitte scorre in grandiose sequenze in costume e si alternano a ritorni al presente, battaglie campali turbinose e coreograficamente maestose convivono con monologhi di stampo shakespeariano, che rimbombano su campi disseminati di cadaveri, fantasie arcadiche traducono in immagini un capitolo de I Lusiadi di Camões e mettono in scena un’ idea di armonia cosmica che trasferisce la storia nel mito, con il suo repertorio di amorini e ninfe gentili, piogge di fiori e sollazzi amorosi.

La distanza teatrale della ricostruzione storica cede il passo alla finzione cinematografica nelle sequenze ambientate nel presente, l’ibridismo è la cifra del film e la sua scelta stilistica vincente.

Mentre le camionette avanzano a scossoni sullo sterrato nella foresta, i soldati parlano di guerra, di patria, di russi e americani, di paesi europei e Cina comunista, quasi mezzo mondo…tutti hanno interessi politici, economici, e l’amor di patria, mah, non è facile, crediamo nel patriottismo o serviamo una causa sbagliata?I soldati sono sempre andati in guerra per forza e noi portoghesi siamo sempre stati soli contro il mondo.

Sarebbero discorsi da bar o da osteria se non fossero fatti da ragazzi che, forse, tra poco ci lasceranno la pelle, o una gamba, nella prossima “perlustrazione”.

Così è chiamato, nel dispaccio che arriva al tenente una volta scesi al campo base, quello che dovranno fare il giorno dopo. Domani si perlustra, dice laconico ai suoi, e non è la stessa voce che parlava di storia. Potenza degli eufemismi! Ma gli sguardi dei soldati sotto quella tenda non sono di gente che si illude. Le urla del negro ferito che si trascina correndo e preme le viscere con le mani le hanno già sentite tante volte.

La nostra patria è la nostra casa” aveva detto uno di loro, all’inizio, ma ora sono in Africa, cosa c’entra con la patria?

C’è, però, un passato di cui essere fieri.

Vasco da Gama

Le scoperte geografiche – dice il tenente-professore – sono state un regalo al pianeta di nuovi mondi, popolazioni, mari, orizzonti.Vasco da Gama, Colombo, Cabral, Magellano … Per questo Camoes cantò i nostri grandi navigatori:

“Gli Dei fa scendere sulla nostra vile terra/e gli uomini salire verso il cielo sereno”

Volevano sciogliere l’enigma di Dio – interviene un soldato

Non credo – è il tenente che parla – il concetto di Dio è superiore a tutto questo.

Nel dialogo su Dio s’incunea a questo punto una strana frase, la voce è di Manuel (Diogo Doria). Sembra gettata là a caso, un pour parler di un soldato senza speranza, ed è invece il tocco magico di De Oliveira, quel condurci da maestro dove vuole, con la leggerezza trasognata di un gioco molto serio.

E’ una pazzia, ma a volte penso che l’universo e l’umanità esistano per un momento di distrazione di Dio.

Strofe e antistrofe, si afferma e si nega, nell’istante stesso in cui si afferma l’ombra del dubbio sradica tutte le certezze.

Soldato – Cos’è che porta beneficio all’umanità?

Tenente – Ciò che si dà, non ciò che si prende.

Soldato – Cos’è rimasto dei grandi imperi? solamente rovine, ombre, solo ombre.

Tenente- Da un lato solo ombre, ma dall’altro si è accesa una grande luce, quella dello sviluppo culturale lasciato in eredità, un patrimonio che durerà eterno nella coscienza del nostro mondo.

Breve pausa …

Ma è una verità enigmatica, perché non porta sempre a valori che durano eterni…

Oggi, 2012, a più di vent’anni da questo film, leggiamo su Panorama.it del maggio scorso:

Per andare avanti, il Portogallo guarda indietro. Sono le ex-colonie, infatti, a dare respiro a un Paese che ancora quest’anno è destinato a una crescita negativa che potrebbe toccare il -3,3% …

Se in Portogallo lo stipendio di un ingegnere civile non raggiunge i mille euro, a Luanda, capitale dell’Angola, lo stesso ingegnere può arrivare a guadagnare quattro volte tanto. I rapporti, complice la crisi economica, si sono invertiti, e ora sono i portoghesi a fuggire verso le ex colonie come Angola e Brasile”

Le vendette della storia.

Ci sono sempre i poeti a predirle, ma chi li ascolta?

Arrivati all’epilogo, dopo aver scatenato sulla scena battaglie di coreografia superba, affondato l’obiettivo fino in fondo agli spazi segreti dell’uomo, dipinto sullo schermo quadri degni di Rembrandt e Caravaggio, prima di chiudere sull’ultima inquadratura nella fredda corsia di un ospedale militare, tra bende e iniezioni di adrenalina e morfina, letti sfatti con soldati mutilati a cui resta un occhio per guardare tra le bende l’agonia del tenente, De Oliveira mette in scena il discorso del NON, dolorosa apostrofe del guerriero sconfitto prima di buttarsi sulla spada:

Parola terribile è la parola “NON”, una parola che non ha né un dritto né un rovescio da qualsiasi parte cominci a leggerla, suona uguale e dice la stessa cosa.

Se la leggi dal principio verso la fine o dalla fine verso il principio è sempre “NON”.

Quando il bastone di Mosè all’improvviso si trasformò in un serpente così feroce da indurre Mosè a fuggire per non essere morso, subito il serpente perse la sua forma, la sua ferocia, il suo veleno. Il “NON” invece non è così, da qualsiasi parte lo vuoi prendere resta sempre un serpente che morde sempre, che ferisce sempre, perché porta sempre il veleno in sé.

Ammazza anche la speranza che è l’ultimo rimedio lasciato dalla natura per tutti i mali.

Non esiste correzione che possa cambiare il “NON”, né arte che riesca ad ammansirlo, né alcuna lusinga che possa renderlo più dolce.

Possiamo impegnare tutte le nostre energie per abbellirlo,ma alla fine ci amareggia sempre, puoi anche provare a dipingerlo d’oro, ma rimarrà sempre di ferro

La cartella clinica prima dei titoli di coda registra: il tenente El Alférez Cabrita morì il giorno della rivoluzione, il 25 Aprile 1974.

No, o la folle gloria del comando

titolo originale: Não, ou vã gloria de mandar 

Portogallo/Francia 1990 durata 102’

regia di Manoel de Oliveira

con Luis Miguel Cintra, Diogo Doria

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