Oasis di Chang-dong Lee

Un’oasi è quel non luogo che in un deserto segna il confine tra la realtà, che è assenza di vita, pietra, sale, roccia, sabbia, e il miraggio, che é vita, acqua, frutta, ombra, refrigerio.
Oasis è un tappeto dipinto sulla parete della caotica stanzetta di Han Gong-ju, ragazza paraplegica che fratello e cognata accudiscono al minimo necessario e con un infastidito senso del dovere, portandole cibo e affidandola alla vicina indaffarata del casermone di periferia perché le dia un’occhiata ogni tanto.
Loro vivono in un comodo appartamento assegnato dal Comune ai disabili, e per la visita di controllo sistemano frettolosamente Han Gong-ju in una stanza, salvo poi riportarla nel vecchio stabile con una radio per compagnia e quel quadretto con il bambino, la donna indiana che danza e un piccolo elefante.
Di notte dalla finestra entrano le ombre spettrali dei rami di un albero scheletrito e Han Gong-ju ne ha paura, si avvolge tutta nella coperta e sparisce dal mondo.
Di giorno con uno specchio cattura il sole e la luce diventa una colomba bianca e farfalle che svolazzano come pulviscolo dorato.
Hong Jong-du è uscito da due anni e mezzo di prigione per aver ucciso un uomo guidando in stato di ebbrezza. Ci tornerà alla fine del film, aveva già precedenti per tentata violenza carnale e furto,
e di fronte ad un simile curriculum sembra normale che la guardia carceraria che lo sta portando in galera dica: “Ma sei un pervertito!”.
Nel deserto del reale questi due personaggi non hanno scampo.
Lei è chiusa nella morsa di una paralisi motoria spastica ed è quasi del tutto abbandonata a sé stessa, lui è un semplice e disarmato naïf come se ne vedono a volte in giro a chiederti una sigaretta o qualche centesimo per fare una telefonata.
Mangia un po’ di tofu che un negoziante gli regala e ridacchia divertito di tutto, tira su col naso perché fa freddo ed ha solo una camiciola di cotone addosso, perché quando andò in galera era d’estate.
Nessuno dei due fratelli a cui ha fatto da prestanome per l’incidente (non guidava lui) l’ha aspettato fuori dal carcere, e quando arriva a casa il primo fastidio che dà sono le pedate che lascia sul pavimento.
E’ un peso per la famiglia, madre, cognata e fratelli lo tollerano appena, così svitato e sempliciotto com’è, e l’occasione per rimproverarlo come un bambino deficiente la trovano sempre.
Lui sembra non farsi sfiorare dal male, come Han Gong-ju vive in un’oasi dove c’è spazio per gesti stranissimi, portare un cesto di frutta male accolto alla famiglia del morto nell’incidente, innamorarsi di Han Gong-ju, figlia di quella famiglia, vedere in lei una bellezza insperata, farle sentire il calore di un amore impossibile anche da sognare.
La delicata sensibilità di Hong Jong-du ricorda la dolcissima figura di Kameda nell’Idiota di Kurosawa, possono riferirsi anche a lui le parole che scorrono in apertura di quel gran film: “…un uomo veramente buono può apparire come un idiota agli altri. Questa è la tragica storia della rovina di un uomo puro e semplice…”.
Non si avverte però, nella drammaturgia di Oasis, la componente tragica che prevale in Kurosawa, lo scenario post-moderno e il realismo narrativo in cui sono abilmente intessuti inserti di favola ne fanno una storia triste e dolce, vissuta nel reale con spirito fiabesco.
Questo fa sì che possano animarsi le figure del tappeto dipinto e danzare intorno ai due ragazzi, o Han Gong-ju tornare ad essere per un attimo una giovane donna sana che si alza dalla carrozzella per correre ad abbracciare Hong Jong-du e chiedergli di passare la notte con lei.
Eppure, oltre il confine dell’oasi c’è il deserto, e tutto quello che è prezioso ricamo di sentimenti e spontaneo incontro di anime, diventa laido e volgare, perseguibile a termini di legge.
Un ragazzotto senza qualità che guida una carrozzella con paraplegica dà fastidio a chi mangia al ristorante, portarla alla festa di compleanno della madre fa ammutolire d’imbarazzo tutti i presenti, nella foto di gruppo non può stare assolutamente, e se il caso cieco e bastardo fa arrivare i cognati nell’appartamento sempre solitario mentre fanno l’amore felici, questo non può che scatenare l’orrore collettivo e finire con una reclusione per circonvenzione d’incapace e stupro.
L’ultimo gesto di questo piccolo eroe dell’oasi sarà ancora un gesto d’amore per la sua Principessa, questo è il significato del nome di Han Gong-ju.
Poi, per qualche tempo, ci saranno solo lettere dal carcere, piene di promesse e attesa, mentre la Principessa aspetta il suo Generale muovendosi per la stanza a far pulizie come mai avremmo immaginato all’inizio del film.
Una gestualità magnificamente unita ad un doppiaggio perfetto per Hong Jong-du e una mimica di eccezionale bravura per Hong Jong-du collaborano a fare di questo terzo film del coreano Lee Chang-dong un autentico piccolo capolavoro.

Oasis
Corea del Sud, 2002 durata 132’
regia di Lee Chang-dong

con Sol Kyung-gu, Moon So-ri, Ahn Nae-sang, Ryoo Seung-wan

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