Ospiti pericolosi di Pierre Granier-Deferre

Adattamento del romanzo di Philippe Labro, Le petit garcon, Ospiti pericolosi (titolo italiano che ne appiattisce alquanto sfaccettature e chiaroscuri) è un film di Granier-Deferre, regista di buone capacità artigianali ma poco premiato da critica e pubblico, tranne che per Una donna alla finestra, autore forse discontinuo, certo capace di esibire ogni volta cast di prestigio, da Philippe Noiret a Jeanne Moreau, Emanuelle Seigner e Lino Ventura.

In questa pellicola del ’95, penultimo lungometraggio prima della lunga serie televisiva sul commissario Maigret, una parte breve e intensa è del grande Serge Reggiani, già parecchio avanti negli anni. E’ Germain, figura di solitario amico del bambino e delle piante, in esilio volontario (capiremo a metà film, per ragioni politiche) un passato da intellettuale éngagé che una volta, dice al piccolo Francois, “fabbricava frasi”.

Segnano un punto a favore la misura discreta con cui nel film si tratta la storia e la scelta del racconto ellittico, con angolature parziali e fortemente scorciate per uno sguardo sulla guerra (siamo nella Francia invasa dai nazisti) da una prospettiva non insolita, ma sempre capace di fascino, quella di Francois, le petit garcon di nove o dieci anni.

Tutto quanto della guerra sappiamo, soprattutto di quella vissuta dai civili lontano dal fronte, è filtrato dall’occhio ingenuo ma attento del bambino, che convive con eventi e personaggi trascoloranti in strane favole (l’uomo “nero” che tesse legami fra il padre e i centri della Resistenza, la famiglia di ebrei nascosti in cantina, misteriose creature silenziose che sembrano partorite dal ventre profondo della casa, la signora Roussel, bella maestra che lui guarda affascinato muoversi per casa come una fata, e concentrarsi sull’ortografia diventa sempre più difficile).

Location della storia è la campagna francese (Vallée de Tescou nel sud-ovest del paese) mondo di serena semplicità, tra galline che razzolano, merende nella grande cucina, il rito dell’uccisione del maiale, corse in bici per le strade sterrate della vallata.

I Dande, famiglia numerosa e vociante, vive qui lontana da Parigi da qualche anno, in attesa di tempi migliori.

La villa di famiglia è una grande casa di stile basco, un bozzolo di pace dove si consumano i riti quotidiani, un grammofono diffonde voci di vecchi chansonniers, la grande giara del giardino governa come un nume tutelare quell’universo protetto, e sarà profanata dai proiettili sparati per gioco dai Tedeschi che s’insedieranno in un’ala della grande casa.

Il loro arrivo è annunciato da Francois, che corre a casa trafelato gridando, quasi fosse arrivato il Circo, “ci siamo, ci siamo, i tedeschi sono arrivati”, e già una carrellata aveva inquadrato facce attonite di ragazzini che guardavano in piazza, infilati fra le sbarre di una cancellata, il corteo degli autoblindo,

Nel paese la vita scorre come ovunque nei piccoli centri agricoli, e lo straniamento che nasce dal veder sovrapporsi a questo ritmo naturale delle cose scene di deportazione o impiccagione è lo stesso che coglierebbe chiunque di fronte all’assurdo che diventa quotidiano.

Georgi, la piccola ebrea che guarda un pezzo di cielo e di giardino dal lucernaio della cantina, unica presa d’aria e di luce, stringe con Francois una complicità intensa, fatta di piccoli doni, brevi visite, un parlottare fitto fitto, da bambini che giocano alla vita, fino al lungo viaggio che li porterà al confine, dove la famigliola sparirà fra le nevi e Francois tornerà col padre alla vita di tutti i giorni.

La Storia ha fatto il suo corso, spazzando via senza troppi riguardi bellezza e stupori, l’infanzia di Francois e, forse, la vita di Georgi.

Nei ricordi di Francois, cresciuto a Parigi dove la famiglia torna a riprendere la vita di un tempo, Georgi e la guerra, i Tedeschi e la bella maestra Roussel, le biciclette rimaste al paese e i racconti di Germain, diventeranno quella memoria mitica da cui, a volte, emerge quel déja vu che ci fa trasalire guardando un viso, ascoltando un vecchio motivo, mangiando una profumata madéleine.

La voce fuori campo, in apertura, mentre il gruppo dei ragazzi correva in bicicletta su strade sterrate, era quella di Francois, ora lo sappiamo: “Per quanto ricordo, associo questo periodo a poche parole, parole semplici, oggi svuotate del loro sangue, del loro senso, buttate via, una volta forti, che andavano dritte allo scopo,chiare come il cielo sopra ai tetti, come il giro di un postino in bicicletta per i campi, parole e immagini, anche, una volta associate alla mia infanzia.Ora so che significano per me la felicità, semplicemente.”

Ospiti pericolosi

titolo originale: Le petit garçon

Francia, 1995, durata 107′

regia di Pierre Granier-Deferre

con Jacques Weber, Brigitte Roüan, Stanislas Crevillén, Ludmila Mikael, Serge Reggiani, Thierry Fremont, Audrey Dupont, Jean-Marie Winling, Isabelle Sadoyan, Manfred Andrae

 

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