Racconto crudele della giovinezza di Oshima Nagisa

Nel ’60 Oshima è al secondo film, ha 28 anni, la Shöchiku rischia con lui, Oshima è un cavallo di razza che non accetta compromessi, ma la casa di produzione ha bisogno di registi, la concorrenza con le altre sei grandi case è forte e in Giappone si va molto al cinema.

Questo film fu la puntata giusta, e il successo clamoroso, dopo l’accoglienza tiepida di Ai to kibo no machi (Il quartiere dell’amore e della speranza), ne fece la bandiera del Nuovo Cinema Giapponese chiudendo la partita con i seishun eiga, equivalente giapponese degli Heimatfilme tedeschi, zuccherose storie sentimentali ambientate fra montagne e villaggi austro-tedeschi (bisognerà aspettare Reitz per definire, molti anni dopo, il vero senso dell’ Heimat in Germania).

Ma i film di Oshima non potevano durare a lungo alla Shöchiku, la casa di produzione più tradizionalista del Giappone, e dopo Nihon no yoru to kiri,(Notti e nebbie in Giappone) ritirato dalle sale a quattro giorni dall’uscita, Oshima dovrà creare una sua casa di produzione autonoma, nel ’65, la Sôzôsha, sostenuta dalla catena di sale specializzate dell’ Art Theater Guild (ATG) che divenne, a partire dal 1964, il sostegno del nuovo cinema giapponese.

La critica alla società era ormai senza quartiere, mettere il dito nelle piaghe nascoste dietro la facciata di nazione tranquilla, laboriosa e florida era impegno irrinunciabile e il tema centrale, quello giovanile, era un grumo irrisolto di contraddizioni e tensioni che, nel grande sincretismo culturale oggi rintracciabile, a ritroso, attraversò la cinematografia mondiale in quegli anni.

La gioventù crudele di Oshima, o, meglio, la crudeltà di quella giovinezza, che non si offre a pietà né a prospettive salvifiche di alcun tipo, fa infatti pensare al mondo di Accattone e Mamma Roma di Pasolini.

Con tutte le differenze sul piano delle scelte di stile, fatti salvi i rimandi ad altri autori, e non solo di cinema, che si avvertono nel background culturale di Oshima, quei giovani, che “non vengono presentati né come tristi vittime della società né come coraggiosi ribelli” (Tadao Sato, Il film giapponese dagli anni sessanta agli anni ottanta, in Cinemania, 1983), hanno la stessa capacità dei borgatari romani di respingere.

In una società cattiva come questa – continua Sato – la loro ribellione assume semplicemente la forma di delinquenza gratuita, ed è questo l’elemento “crudele” della loro giovinezza”.

Kiyoshi e Makoto sono studenti di Osaka, lui universitario, lei più giovane, ma dei loro studi quasi nulla trapela, sono indifferenti a tutto, guardano distratti la sfilata del primo maggio, “no, Beethoven no….” è l’esclamazione annoiata quando uno accende la radio, ma poi la stazione resta apaticamente quella, vivono di notte fra bar equivoci e autostop su macchine di anziani danarosi, una stanzetta dove entra solo il letto è lo spazio in cui convivere dopo che lui l’ha sedotta, ma con una violenza che non suscita orrore, è insita nelle cose stesse, e Oshima la fa percepire in modo disturbante, è una trama così sottilmente impregnata di violenza che tutto diventa coerente, come normale, e l’epilogo tragico non produce alterazioni di rilievo.

La cinepresa a mano segue da vicino i due protagonisti, è l’interesse dell’entomologo unita alla rabbia dei pugni in tasca, Kiyoshi e Makoto sono belli, ma non suscitano attrazione né identificazione, non hanno linguaggio, sembrano catatonici, vivono una traversata tragica (risse, stupro, adescamento, aborto, famiglia assente, la precarietà eretta a sistema, la violenza come leit motiv) con incoscienza volubile, in un mondo di padri e maestri da cui si può solo fuggire, punti di appoggio inesistenti, stringono tra loro un legame mal imbastito, come bambini fatti crescere in fretta e mollati a sé stessi.

Non hanno consapevolezza del male e del bene, sono il prodotto coerente di una società e di una storia che Oshima attacca dal suo interno, con critica incendiaria.

Le scelte stilistiche sono conseguenti, in totale controtendenza rispetto al passato, e forse oggi possono risultare per qualche aspetto datate o ancora in fase di maturazione, ma c’è già il tocco dei capolavori successivi, come nel silenzio immobile di Makoto dopo l’aborto, contrappuntato da Kiyoshi che sgranocchia una mela o in quel sole che non c’è mai, ma c’è tanto rosso, è il colore che prevale e sembra assorbire gli altri, in una fusione cromatica luciferina.

E’ una storia di giovani che non possono manifestare la loro collera se non in modo deviato – affermò il giovane regista – Mostrando la tragedia di questi giovani ho espresso la mia stessa collera davanti alla situazione in cui si trova la gioventù contemporanea”.

Racconto crudele della giovinezza

titolo originale:Seishun zankoku monogatari 

Giappone 1960 durata 96’

regia di Nagisa Oshima

con Yusuke Kazazu, Miyuki Kuwano

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