Sonatine

 

Il cinema è un enigma inesplicato o un enigma insolubile. Creo l’enigma che il pubblico può risolvere nella maniera che vuole.Kitano dixit

Sonatine offre dunque al pubblico un enigma che inizia dal titolo.

Nella trascrizione katakana è (traslitterato) “Sonachine”, un genere di musica folk di Okinawa al quale Joe Hisaishi si è ispirato per la colonna sonora.

Ma la sonatina, nel linguaggio musicale, è anche una composizione che conserva nella sua struttura la forma-sonata, benchè in maniera tecnicamente più elementare, meno impegnata formalmente e di minori dimensioni.

“In nessuna forma di musica strumentale come nella sonata vi è una opportunità migliore di descrivere i sentimenti senza parole” afferma Peter Schulz.

Nella tripartizione del tema in Esposizione, Sviluppo e Ripresa, un ruolo fondamentale è assegnato ai contrasti dinamici nel tessuto ritmico. Inoltre, la “falsa ripresa” (cioè una ripresa prematura del tema principale) inganna l’ascoltatore e crea un momento di stasi di grande efficacia per la promessa di nuove tensioni.

La musica, dunque, come chiave di lettura, non unica, certo, ma prevalente, di una fra le storie che, come minime variazioni blues, Kitano racconta nei suoi film.

Lo storyboard del film si muove esattamente all’interno di questo schema.

Esposizione

Murakawa (Beat Takeshi) è un boss yakuza stanco della vita pericolosa che conduce.

Ha raggiunto una certa agiatezza economica e vuol chiudere la partita (“Siamo cattivi, vero?” dice con humor nero al suo vice Katagiri mentre affogano nel porto il malcapitato gestore della sala da mahjong appeso al braccio della gru). Purtroppo però deve rimandare il pensionamento, il suo capo, Kitajima, lo costringe ad andare nell’isola di Okinawa per mettere fine ad una guerra tra bande rivali.

Appena arrivato Murakawa si rende conto della trappola in cui è caduto. La sua attività funzionava troppo bene, bisognava eliminarlo e mandarlo lì ha fatto sì che il suo arrivo fosse preso come una provocazione dalla gang rivale con cui Kitajima intanto tesse accordi sottobanco.

Scatta a questo punto una serie di reazioni (esplosioni, aggressioni, il solito bim bum bam totalmente schizzato del repertorio Kitano) che hanno termine su una spiaggia isolata, dove il gruppo di yakuza al seguito di Murakawa ripara.

Siamo allo Sviluppo, al crescendo senza parole. Su questa spiaggia il tempo si ferma.

Il cinema openspace di Kitano tocca ora i suoi vertici: strade sulla costa fra alti cespugli di eriche, all’orizzonte una striscia di mare, spiagge a perdita d’occhio dilatate da panoramiche infinite, cieli pastello di nuvole leggere, petali rossi lanciati nell’aria che ricadono in forma di frisbee, cieli notturni pieni del grande occhio della luna o solcati da razzi multicolori, quadri entro i quali la storia scorre lenta per poi precipitare in picchi inaspettati di mobilità convulsa.

E’ la vita che si arresta per ritrovare sè stessa nel gioco: trappole scavate nella sabbia, roulette russa con beffa finale, incontri di sumo con sagome di carta prima e persone poi, danze e canti, battaglie con fuochi d’artificio, frisbee, tutto ricorda la sequenza dei giochi d’infanzia de L’estate di Kikujiro, ma qui ci sono paura e morte ad aspettare al capolinea, non l’allegro ritorno a casa della simpatica coppia.

La musica di Hisaishi scorre intanto lungo le sue coordinate, sembra ogni volta che voglia portare da un’altra parte rispetto alla traiettoria degli eventi, crea quella ripresa del tema, imprevedibile e astratta, che porta alla terza parte del film, la resa dei conti, folgorante, epica e disperata, con inquadratura dall’esterno della carneficina nell’ hotel, fatta immaginare dal riverbero luminoso sui finestroni e dal fragore delle armi.

Ripresa

Il cammino verso la morte è all’epilogo, ma ora tutto è come purificato dalla catarsi tragica che ha avuto luogo su quella spiaggia.

Il gioco d’infanzia (“che altro posso fare?” ha risposto Murakami, continuando a giocare, alla domanda:“Non è un po’ troppo infantile, capo?”), la surreale amicizia fra Ken e il giovane Ryoji, la confessione di Murakami che rivela la sua paura della morte alla ragazza dal viso di porcellana, la prostituta senza nome, il rapporto insolito, dolce, con lei, mentre le dice sorridendo sotto la pioggia:“E’ divertente non avere pudore, mi piace”, tutto questo rende possibile, anche l’accettazione della morte, prima fatalità tragica o sberleffo disperato, ora scelta definitiva e pacata.

Ritornerai?” gli chiede la ragazza.

Forse, chissà … e tu ci sarai ?”

Forse … chissà 

L’enigma ora si svela, l’ultima immagine è un alternato sul viso della ragazza e la macchina azzurra di fronte al mare col finestrino imbrattato di sangue.

La partita è chiusa sull’ultima nota della sonatina.

titolo originale : Sonatine – Giappone, 1993, durata 94’

di Takeshi Kitano, con Takeshi Kitano, Aya Kokumai, Tetsu Watanabe, Masanobu Katsumura

per la filmografia completa di Kitano

Takeshi Kitano

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