Synecdoche di Charlie Kaufman

Che Synecdoche arrivi sullo schermo sei anni dopo la sua produzione, e solo perché la morte di Seymour Hoffmann lo carica di un fascino funereo che all’occhio cinico e rapace della distribuzione fa gioco, é cosa perfettamente in linea con lo spirito dell’opera.

La morte, infatti, aleggia ovunque, nel film come nella realtà, ma é un rimosso, ci dice Kaufman, col quale conviviamo docilmente, convinti che non toccherà mai a noi.

Verità indubitabile quant’altre mai, ma nulla di nuovo sotto il sole.

Cos’è dunque questa sineddoche che il titolo brandisce con apparente noncuranza?

La parola é di quelle che non lasciano indifferenti, si può far finta di niente ma poi si corre, giustamente, a sfogliare il vocabolario.

Una volta appreso che trattasi di figura retorica spesso confusa con la metonimia, dopo essersi documentati perbenino con esempi e simulazioni adatti all’uopo, si tenta di capire cosa c’entri con New York, con il plot, con tutto quello che vediamo agitarsi a lungo sullo schermo.

La risposta la conosceva Kaufman, la conoscono vari esegeti, ognuno dei quali collabora ad ulteriori ampliamenti dell’area semantica del termine, resta ignota alla sottoscritta che pertanto dribbla gioiosamente sul titolo.

Del film, quello che assolutamente va detto e sottolineato a lettere di fuoco é la grande e purtroppo persa per sempre bravura del protagonista.

La sua capacità di rispecchiamento e sublimazione della condizione umana, incarnata nel modo più innegabilmente autentico, e pertanto disturbante e respingente ai massimi livelli, nel puntare sull’anti-immedesimazione con il personaggio non fa che trascinare, invece, in un abile processo di identificazione collettiva, con lui, il regista-commediografo ipocondriaco, abile distruttore di tutto ciò che nella vita collabora a rendere questa mediamente accettabile.

Questa fascinazione non fa che moltiplicare le credenziali di una recitazione lancinante ma anche carica di smarrita innocenza, capace di ghermire un’attenzione che costantemente vuol ribellarsi, ma che altrettanto costantemente viene catturata e tenuta saldamente in pugno.

Non fosse Seymour Hoffman il protagonista, con la sua fisicità adiposa e tenera e la sua immensa tenuta del palcoscenico, a Synecdoche, New York rimarrebbe solo tanta verbosità, a tratti senz’altro geniale, ma spesso avvertita come esclusivo esercizio di scrittura (e un tantino compiaciuta).

E trattandosi di un film non é cosa buona.

Citare Pirandello e Svevo, Miller e Pinter, Von Trier, Paul Thomas Anderson e Michael Haneke é esercizio fin troppo abusato e certo non basta a sollevare il film oltre un giudizio di piena sufficienza e menzione d’onore per il grande, indimenticabile interprete.

Synecdoche

2008 USA  durata 124’

regia di Charlie Kaufman

con Philip Seymour Hoffman, Michelle Williams, Catherine Keener, Jennifer Jason Leigh, Tom Noonan, Samantha Morton, Hope Davis, Lynn Cohen, Sadie Goldstein, Daisy Tahan, Emily Watson, Dianne Wiest

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