Tabù – Gohatto di Oshima Nagisa

L’omosessualità al tempo dei samurai.

Ultimo film dopo il lungo intervallo da Furyo dell’‘83, Oshima continua a épater les bourgeois, e come sempre lo fa alla grande.

Iconoclasta e provocatore per vocazione e impegno artistico, racconta una storia di amore/amori omosessuali, ambientandola addirittura in una scuola di samurai nel Giappone feudale, la Shinsen-gumi, dove, nel 1865, si stanno reclutando guerrieri per mantenere la pace a Kyoto.

Il comandante Isami Kondo (Yoichi Sai) e il tenente Toshizo Hijikata (Beat Takeshi) osservano i duelli contro il loro uomo migliore, Soji Okita (Shinji Takeda) per selezionare i candidati.

Ma i tempi sono cambiati, i candidati sono tutti rozzi e da scartare, tranne due fuoriclasse, abilissimi e imbattibili, uno del clan Kurume, classe contadina, Hyozo Tashiro (Tadanobu Asano), e uno di rango superiore, Sozaburo Kano (Ryuhei Matsuda), immediato polo di attrazione visiva nel suo splendido kimono bianco.

E questo ragazzo chi sarebbe?” chiede Kondo, il comandante, primo piano sul viso, come folgorato, appena appare Kano in una delle inquadrature di solenne e perfetta geometria del film, fotografia nitida, luminosa, scenografia di precisione calligrafica.

Kano ha 18 anni, lunghi capelli da adolescente, è un efebo a tutti gli effetti e primi piani e dettagli a ripetizione sul suo viso ne esaltano i lineamenti androgini, lo sguardo tra dolce e spietato, il suo destino di oscuro oggetto del desiderio è segnato fin dalle prime sequenze.

Inoltre, Kano “non si è mai giaciuto con una donna”, la voce circola  subito fra i samurai accovacciati a bere sakè tra un duello e l’altro, e la ferrea regola della scuola, di cui Oshima snocciola con divertita ironia varie clausole in decorativi ideogrammi, non prevede l’omosessualità come colpa, insomma non si rischia la decapitazione come, ad esempio, se si chiedono soldi in prestito.

Infatti, proprio una trasgressione del genere vedrà impegnato da subito Kano, come prova iniziatica, a dare il taglio netto alla testa di un collega con la sua katana. Il comandante l’ha nominato suo assistente personale e questo compito è un onore.

Imperturbabile, il giovane samurai sferra il colpo dicendo “perdonami”, quindi raccoglie la testa mozza e la porge a Kondo.

Lo scatenamento di pulsioni erotiche da parte di più samurai e l’intrecciarsi di rivalità nella scuola non sembrano neppure sfiorare il bellissimo, che pure offre senza problemi il suo corpo alle attenzioni di alcuni compagni.

La sua sessualità è vissuta con assoluta naturalezza, il primato di combattente elegante e perfetto resta intatto, ma la sua bellezza è fatale, sovverte l’ordine gerarchico, mette in crisi il sistema di potere, diventa necessario gestirla in qualche modo.

Una possibile soluzione è portarlo a Kyoto, nel quartiere delle geisha, e rimettere ordine fra le parti, ma l’esperimento si rivelerà fallimentare.

Il tenente Hijijata, un Kitano della migliore specie, ironico, essenziale nei gesti e nelle parole, (il suo sodalizio artistico con Oshima dai tempi di Furyo è quanto di meglio potesse produrre il cinema made in Japan), è l’osservatore esterno di tutto il fenomeno che sta colpendo la scuola facendola traballare.

I suoi dialoghi con i capi e i subalterni sono spesso completati da un monologo interiore che ci mette al corrente dei suoi pensieri, e a lui tocca ora riportare la disciplina durante l’assenza di Kondo in missione militare.

Ordine di scuderia è che non si ripeta ancora “l’epidemia di atteggiamenti effeminati” , “l’aria torbida” dell’anno precedente, dice Kondo, dopo aver chiesto al tenente notizie sulle attività sessuali di Kano con indifferenza poco convincente.

Che importanza può avere?” chiede Hijijata, sornione, aggiungendo subito con caustica leggerezza “Ti preoccupa?”.

Kondo è il potere, la confusione nei ranghi sarebbe inaccettabile, mimetizza le sue pulsioni dietro facili battute: “Anche tu hai certe inclinazioni?”, che sa di poter fare scatenando belle risate generali ed esorcizzando così il problema.

E’ infatti riprovevole che un samurai possa uscire dagli schemi di una sessualità istituzionalizzata e dire ad un uomo, invece che ad una donna, “darei la vita per potermi svegliare un giorno al canto dell’usignolo dopo averti tenuto tra le mie braccia”, come fa uno dei pretendenti di Kano, è quanto di più destabilizzante possa accadere, anche se, orgogliosamente, si proclama altrove che “un samurai si distingue per la sua umanità e soprattutto per la sua capacità di provare compassione”.

Però, dice Hijijata, “un samurai può essere distrutto dall’amore per gli uomini……mi fa pena – aggiunge riferendosi al presunto assassino dell’omicidio passionale appena scoperto – ne capisco i sentimenti, ma non possiamo, non dobbiamo lasciar correre”.

Bisogna eliminare l’elemento di disturbo, ma non è Kano, che resta un simbolo astratto, il demone che annulla i freni inibitori, colpevole è chi non ha resistito al suo fascino, chi ha sovvertito l’ordine, chi mette in discussione i ruoli.

L’epilogo, in una notte di blu profondo, con tagli di luce come acciao, è il momento della verità.

Hijijata e Okita suo luogotenente aspettano che il duello finale fra Kano e l’omicida chiuda la storia, ma Okita scuote le certezze del tenente raccontandogli la bella favola da I racconti della luna pallida, “Il giuramento del crisantemo”:

Uno studente, un ragazzo povero ma puro, si prende cura di un samurai che incontra vicino alla sua casa, il quale si è ammalato durante un lungo viaggio.

Man mano che passa il tempo conversando, i due si affezionano e fanno un giuramento di eterna amicizia.

La loro amicizia fiorisce, ma arriva il momento in cui il samurai deve andarsene, ma promette all’amico che in autunno tornerà, il 9 settembre, per la festa dei crisantemi…

La mattina del 9 settembre lo studente si alza presto, lui e sua madre comprano il sakè, cucinano il pesce e aspettano…

ma il samurai non arriva…”

Arriverà il suo fantasma “a cavallo del vento”, per mantenere la promessa fatta all’amico ha preferito uccidersi nella prigione in cui è stato rinchiuso dopo la cattura, sulla strada del ritorno.

Sono convinto che i due uomini abbiano provato sentimenti d’amore – conclude Okita mentre Hijijata tace pensieroso – altrimenti, chi arriverebbe ad uccidersi se non per amore?

E poi, in effetti, il titolo parla del crisantemo, Amore e Morte.”

Il duello fra Kano e l’omicida è ora concluso, un albero di pesco spicca come una nuvola rosa nella notte blu, Beat Takeshi estrae la katana e il finale è sorprendente.

Tabù – Gohatto

titolo originale: Gohatto

Giappone 2000 durata 100’

regia di Nagisa Oshima

con Takeshi Kitano, Ryuhei Matsuda, Shinji Takeda, Tadanobu Asano

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