Testimonianza di un essere vivente di Kurosawa Akira

Un anziano industriale giapponese vive nella paura dell’atomica, vorrebbe espatriare in Brasile con tutta la famiglia per salvarsi dalle radiazioni della bomba precedente e da eventuali altre future, ma la famiglia si oppone e lo fa interdire come dilapidatore di sostanze.

Infatti ne ha già impiegate molte nella costruzione di un rifugio antiatomico, impresa colossale rimasta incompiuta e ora ha intenzione di liquidare la fonderia che dà lavoro ai figli e alle loro famiglie.

Dopo aver tentato tutte le strade, compreso l’incendio della fabbrica, quando si vedrà voltar le spalle da tutti e si sentirà ridotto all’impotenza più totale, perderà completamente il senno e finirà i suoi giorni in manicomio.

Un dentista (Takashi Shimura) che fa parte della commissione preposta al giudizio sulle cause famigliari, è l’unico ad essere colpito da questa vicenda sul piano umano, anche se troppo tardi per modificare il corso delle cose.

L’ultima scena nel reparto psichiatrico è una delle parti migliori del film, nella scenografia così spoglia, plumbea, nel silenzio pietoso che avvolge tutto, con la gabbia dei matti separata dallo spazio dei sani solo da una grata, e quel sole all’orizzonte visto dalla finestra che al povero vecchio sembra l’occhio atomico.

L’occhio di fuoco è anche quello che crede di vedere nonna Kane, nel finale di Rapsodia d’agosto, quando corre impazzita verso l’orizzonte e crede di correre a Nagasaki dove il marito stava morendo, tanti anni prima.

Ma la forza di quel film è ben altra.

Questo è debole, non riesce a sviluppare i suoi temi, e sono molti, in modo convincente, restando così allo stato embrionale.

Può essere utile conoscere quello che Kurosawa dichiarò all’epoca:”Inizialmente per affrontare quel tema assillante volevamo adottare una chiave satirica, ma come si può fare della satira sulla bomba H? A mano a mano che scrivevamo il soggetto diventava sempre più tragico. Sentivamo terribilmente la responsabilità di quello che stavamo facendo, il giorno del giudizio volevamo poter dire:siamo noi che abbiamo fatto Testimonianza di un essere vivente

Queste parole spiegano molto.La tragedia era troppo vicina, erano tutti troppo coinvolti, la vita non è arte e perchè questa trovi la sua forma servono distacco, sedimentazione, sguardo lungo.

Possiamo però rintracciare momenti importanti nel film, e la figura di Shimura nella parte del dentista è uno di questi, il suo personaggio emerge con nobiltà e spessore, Kurosawa lo riprende di spalle nei momenti chiave, come a sottolineare il suo rifiuto di condividere il comportamento della famiglia, ma anche la sua impotenza. Al contrario Mifune, truccato da settantenne è troppo sopra le righe, e non convince.

Un sviluppo mancato nella storia è anche il tema del rapporto padri/figli, la loro distanza, l’incapacità di capirsi, di non diventare estranei gli uni agli altri. Resta allo stato di abbozzo, come pure appena tratteggiata è la figurina della giovane amante dell’anziano industriale, quando cerca di aiutarlo con i suoi magri risparmi o va a trovarlo in manicomio col suo neonato in braccio. E’ una presenza silenziosa, marginale, di quelle che Kurosawa introduce a volte nei suoi film con discrezione, quasi volesse lasciarle sullo sfondo a non sciuparne la freschezza.

Sull’atomica e i suoi riflessi nella cinematografia di Kurosawa bisognerà aspettare il ’90, l’anno di Sogni, e il ’91, Rapsodia in agosto.

Sogni, scena

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Testimonianza di un essere vivente

titolo originale: Ikimono no kiroku 

Giappone 1955 durata 103’ b/n

regia di Kurosawa Akira

con Toshirô Mifune, Takashi Shimura, Minoru Chiaki, Eiko Miyoshi

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