VENEZIA74 – Orizzonti – Caniba di Lucien Castaing-Taylor e Verena Paravel

Non è stato lo scandalo che tutti, o forse solo gli autori, si aspettavano, non ha costretto grappoli di spettatori indignati a fischiarlo né stomaci sensibili a rotolare fuori dalla sala smadonnando perché una fila è una fila, e magari sotto il sole a picco all’ora di pranzo nun è cosa!

Più che un lungometraggio votato alla settima arte andrebbe nel genere video-installazioni per cui è andata celebre la Biennale Arte veneziana tra Arsenale e Giardini fino a qualche anno fa.Poi la moda, come tutte le cose di questo mondo, è tramontata, maso-sado-porno-trash non fanno più storia, rileggere la Coena Trimalchionis del buon Petronio arbiter elegantiae diverte e sconvolge di più (e sarebbe buona cosa farlo a prescindere, ma questa è un’altra storia da latinisti perversi).

Dunque cosa genera Caniba, troppolungometraggio dei registi-antropologi Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor presentato in Orizzonti a Venezia74? 

Noia profonda.

Breve sinossi:

13 giugno 1981. Issei Sagawa, 32enne studente alla Sorbona, viene arrestato mentre tenta di liberarsi di due valigie. Nei laghetti non si buttano valigie, perciò il servizio d’ordine lo blocca e l’odore è inconfondibile. Contengono i resti putrefatti di una sua compagna di studi, l’olandese Renée Hartevelt, meno sette chili, tanti ne ha mangiati il nostro cannibale cominciando dal gluteo destro (o sinistro, non ricordo, bisognerebbe rivedere il film).Poi è subentrata la data di scadenza e la necessità di disfarsene. E dove si va a Parigi a disfarsi di resti umani? Al Bois de Boulogne.

La ragione dei suoi gusti alimentari?

Issei spiega nel suo giapponese balbettante che associa la pulsione sessuale al desiderio di mangiare la partner. Pare che la poverina l’avesse respinto, brutto com’era, e allora lui è passato direttamente alla seconda parte del programma.

Quando ha scoperto questo aspetto di sé? gli chiede chi è lì a intervistarlo (si fa per dire).

Quando ha visto Grace Kelly in Mezzogiorno di fuoco, si accorse allora che l’avrebbe assaggiata volentieri.

Il cinema aiuta a capire noi stessi come null’altro al mondo, è proprio vero.

Processato, condannato, redarguito e reso famoso, Issei poi viene liberato e il 12 agosto 1985 esce dall’ospedale psichiatrico.Tornato bel bello in Giappone sfrutta la sua fama in TV e produzione di manga porno, gli anni passano e oggi è un vecchietto rincoglionito pieno di soldi e assistito da una bella badante prosperosa che lo imbocca di gonfiotti al cioccolato, i suoi prediletti.

Scena alla fine del film, lei tanto carina nella sua camicetta scollata che gli dice: “Vuoi mangiare qualcos’altro? 

Un povero cristo di spettatore che è ancora lì, che ha resistito perché un film va visto tutto, questo gli dice la sua etica malata, ma tant’è, un povero spettatore cosa dovrebbe pensare, anzi urlare, in quel momento?

Sorvolo.

Issei ha un fratellino scemo, Jun, è sua la voce che dialoga con lui (si fa per dire, Issei in realtà emette più che altro mugugni, grugniti e lallazioni).Da piccoli sembravano gemelli, un bel filmino amatoriale sulla famiglia felice in cui sono nati e vissuti fa cadere tutte le scuole di pensiero sulle relazioni fra ambiente e sviluppo psico-fisico dell’individuo. I due fratelli si amano, questo sì, uno non saprebbe come vivere senza l’altro, e condividono gusti e tendenze, solo che il fratellino scemo non mangia carne umana, preferisce farsi sanguinare in proprio con filo spinato, punte di coltello, grattugie e varie, lui vuol arrivare al “dolore perfetto”.

Tecniche di ripresa: sono quelle che fanno fare gridolini di gioia ai veri cinefili, quelli che godono parecchio davanti a sequenze interminabili e sfocate, interni claustrofobici, close-up fuori fuoco sulla faccia del cannibale, implicazioni socio/psico/antropologiche a mazzi.

Come Dio vuole si arriva alla fine del film, resta ancora una barretta al cioccolato in fondo alla bisaccia, la si guarda perplessi e la si butta nel cesto dell’indifferenziato.

E non era neanche scaduta!

Verena Paravel al photocall

Francia 2017, durata 90 minuti.

regia Lucien Castaing-Taylor e Verena Paravel.

 

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