Koudelka fotografa la Terrasanta di Gilad Baram

“Josef Koudelka, l’insostenibile leggerezza della fotografia”.

Parafrasando un titolo famoso, qualche anno fa il quotidiano La Stampa così intitolava il reportage sulla mostra torinese di Josef Koudelka presso la Fondazione Merz dedicata alle sue immagini sul Piemonte in vista delle Olimpiadi invernali.

In quell’occasione Koudelka (era il 2012) parlò di un lungo lavoro (sarebbe durato cinque anni) che poi è diventato il film dal titolo Koudelka fotografa la Terrasanta.

Ho titubato prima di accettare questo lavoro.disse allora il fotografo So che la situazione laggiù è complicata e non volevo soffrire per gli uni o per gli altri. Per me il momento in cui scatto una fotografia è il momento dell’emozione, poi inizia il distacco. Per questo, tra l’altro, non mi interessa insegnare o dare lezioni sulla fotografia. Comunque, a patto di poter riprendere quello che voglio, ho accettato di andare in Terrasanta. E di raccontare il Muro che oggi divide Israele dai territori palestinesi. Credo che ci siano laggiù molti e grandi drammi umani, ma che si stiano compiendo anche dei crimini nei confronti del paesaggio”.

Pensiamo allora a quella frase rivelatrice di Kundera:

Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza meravigliosa?

L’insostenibile leggerezza della fotografia” è l’ossimoro che si traduce in atto ogni volta che l’obiettivo è messo a fuoco e la realtà diventa immagine.

E se la realtà è un muro, un filo spinato, una torretta di guardia con soldati a mitra spianato, un carro armato pieno di soldati russi o israeliani, una casa bombardata nei Territori e un arabo palestinese che non ha altro tetto sotto cui dormire, è sempre lo stesso ossimoro, la stessa insostenibile leggerezza.

Bambini palestinesi che si affollano curiosi di guardare dentro il suo obiettivo, ragazzi di scuola israeliani guidati dal prof che spiega che giù c’è la tomba di Rachele ma che oggi non si può più vedere come una volta, una donna dal capo velato che guarda la città murata e sorride triste: “La città ora non è più bella – dice a Koudelka che annuisce – hanno fatto il muro per proteggerci, ma in realtà è perchè così non possiamo più andare dall’altra parte ”.

Il muro è una doppia prigione, i prigionieri stanno dall’una e dall’altra parte ” aggiunge Koudelka.

Il suo passo è lento, le soste lunghe, una foto ha tempi suoi e si può anche decidere di non farla affatto.Succede nel deserto del Sinai: “ Un posto così bello che lo lascio così com’è, e per fortuna non possono distruggerlo “ … e dopo un po’: “ Ci credo che Gesù ci tornava spesso!”.

Koudelka è un uomo sorridente, amabile, dalla battuta sempre pronta. Alto, dinoccolato, si muove con le sue macchine a tracolla e guarda, in silenzio, si avvicina alle barriere, viene allontanato dai soldati, si stende sotto il filo spinato e si punge un fianco, ma la foto che ne esce è una delle sue meraviglie: la città, Gerusalemme, sullo sfondo, e una rosa in primo piano che la incornicia tutta. Ma di filo spinato.

 Il suo è uno sguardo colmo di stupore enorme, insanabile, quello che prende nel vedere l’oscenità di pannelli di cemento messi in fila a distruggere il paesaggio.

Merda – borbotta – come si fa a distruggere un paesaggio così bello con questa merda?

E’ il Muro, ancora e sempre.

Non è peregrino pensare al paesaggio, la natura è indifesa, bisogna pensarci, l’uomo può difendersi, lei no. Un paradosso? Certo, ma Koudelka sa anche come raccontare la storia dell’uomo con le sue foto, e quello che il suo occhio ha visto racconta più di qualunque altro mezzo.

Il mondo nel ’68 conobbe la vergogna di Praga grazie a lui, e per questo fu costretto ad abbandonare patria e famiglia a vent’anni. Fu per anni il Fotografo Anonimo, tanto fu il prezzo da pagare per evitare rappresaglie alla sua famiglia.

La gloriosa agenzia Magnum Photos di Parigi, fondata nel 1947 da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, William Vandivert, seppe come accoglierlo e da allora le sue strade sono state tante, ma il suo stupore, la curiosità, il suo sguardo sorridente sono rimasti intatti.

Sono cresciuto dietro il muro. Per me era la prigione, ero in gabbia.nPer questo non l’ho mai amato. Ma questo Muro, a modo suo, è spettacolare ”.

Oggi i media di tutto il mondo raccontano con abbondanza di particolari di tante miserie tra Palestina e Israele, ma le sue foto sono un’esperienza diversa, solo dopo si ha la sensazione di aver assistito veramente a qualcosa, anche se non eravamo lì.

Caduto il muro di Berlino, per Koudelka dopo tanti anni di esilio si riaprì la strada per Praga, ma nel suo immaginario il Muro è rimasto un non rimosso, qualcosa che lo spinge ancora con le sue macchine ad essere un testimone, per dire al resto del mondo che c’è un arbitrio, un orrore, un cannone puntato contro un albero.

Leggerezza è quello che si pensa vedendo quest’uomo che si muove con le sue macchine a tracolla e leggerezza emana dalle sue immagini. Insostenibile leggerezza.

Koudelka fotografa la Terrasanta

Germania 2015 durata 80’

regia di Gilad Baram

con Josef Koudelka

documentario

 

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Le immagini presenti nell’articolo appartengono ai rispettivi proprietari e sono utilizzate al solo scopo di corredare il testo.

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