Quelli che mettono il piede sulla coda della tigre di Kurosawa Akira

1945, il Giappone è ancora in guerra, mancano i cavalli per girare La spada sguainata, un film in costume, e con totale povertà di mezzi Kurosawa ripiega su questo breve testo del teatro kabuki, Kanjincho, a sua volta derivato da Ataka, dramma del teatro Nô ambientato nel 1185 e gira un mediometraggio di appena un’ora, che ha già tutte le impronte del suo genio.

E’ la storia del principe Yoshitsune Minamoto in fuga con i suoi seguaci travestiti da monaci e diretto verso il nord del Giappone per raggiungere Idehira Fujiwara, suo unico amico, attraverso un posto di blocco fra le montagne.

Storie dinastiche di scontri per il potere alle spalle, famiglie sterminate da faide infinite, intrighi e delitti, tutto è già accaduto, ma Yoshisune, il vincitore, non può tornare a Kioto perché minacciato dal fratello, lo Shogun Joromoto, uomo malvagio, debole e irresoluto, influenzato da cortigiani invidiosi.

Il gruppo è guidato dal samurai Benkei e fra loro c’è un personaggio umoristico, un contadino disoccupato aggregato come portatore (come non ricordare Kikuchiyo, il samurai straccione con l’armatura corta sulle natiche de I sette samurai?) E’ il comico Enoken, che dà all’insieme un tono picaresco allora poco apprezzato dai giapponesi, non disposti ad accettare che la loro gloriosa storia feudale venisse trattata con toni così poco agiografici.

Ironia delle cose umane, fu proprio quella storia di samurai a rappresentare il maggior ostacolo all’uscita del film, che vide la luce solo nel ‘52 perchè accusato dagli Americani di esaltare i valori del Giappone feudale.

Sulla montagna i samurai/monaci sanno di dover superare un presidio militare e, riprendendo una suggestiva metafora della tradizione giapponese, è come se camminasero mettendo il piede “sulla coda della tigre” , che è come camminare sul filo del rasoio per la tensione della minaccia sempre presente.

La forza nel tratteggiare i personaggi, fra cui spicca Benkei, affascinante, istrionico e trascinatore, la sottigliezza nel percepire la grazia e la sensibilità di Yoshitsune di fronte al quale ha giusta consistenza la figura di Togashi, il “cattivo” capace, però, di nobiltà di gesto, infine il rigore della messa in scena fanno di questo quarto film di Kurosawa una prova d’autore a tutti gli effetti, buona anticipazione di un soggetto grandioso che arriverà molto più tardi e sarà Kagemusha.

Importante valore aggiunto al film sono i cori del teatro Nô, coerenti con lo sviluppo della storia nella percezione psico-fisiologica del “ritmo continuo”, affidata al principio del jo-ha-kyū, per cui la situazione drammatica viene sviluppata da un crescendo lento sino al parossismo finale, con una mancanza di emozionalità evidente ma una concatenazione continua fortemente legata.

Musica destinata essenzialmente alla nobiltà e alla casta guerriera, ha una funzione drammatica molto interessante in questa vicenda, e l’aver accostato i due linguaggi (filmico e musicale) con così straordinaria coerenza fa di quest’opera una tappa eccellente e iniziale di una filmografia ancora tutta in divenire, ma già così densa e promettente.

Quelli che mettono il piede sulla coda della tigre

titolo originale: Tora no o wo fumu otokotachi 

Giappone, 1945, durata 60’ b/n

regia di Kurosawa Akira

con Denjirô Ôkôchi, Susumu Fujita, Kenichi Enomoto, Masayuki Mori

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