Secret Sunshine di Chang-dong Lee

Secret Sunshine del sud-coreano Lee Chang-dong è un film da vedere e poi lasciar passare del tempo. Quindi rivedere, possibilmente dopo aver visto Oasis, dove il linguaggio del regista trova la sua sintesi perfetta. Qui c’è la stessa densità di situazioni estreme, al limite della sopportabilità, immesse nel procedere consueto di un tempo qualsiasi in un luogo qualsiasi. Perfino la scena centrale, tremenda, è ripresa senza un crescendo di tensione, il campo lungo ne accentua il tono dimesso.

La protagonista (Do-Yeon Jeon, magnifica interprete anche in The Housemaid di Im Sang-soo) scivola appena sul greto del fiume mentre è ripresa di spalle, e tra poco vedrà l’inguardabile. Povera figurina che si piegherà sempre più su sé stessa, ci cattura come i due esclusi di Oasis, e quel dolore che sembra strapparle le viscere è tutto nelle mani, che spesso si stringono spasmodicamente al ventre.

La notevole durata del film, due ore e mezza, l’insistenza prolungata su scene di preghiera collettiva della comunità di fedeli, allorché il dramma della protagonista e la sua esigenza di fuga da un dolore troppo disumano la portano a tentare anche quella strada, possono condizionare il giudizio.

Avvertiamo a volte un peso, lo scambiamo per un limite del film, la mescolanza di generi per cui si fondono il tragico e il comico, il thriller e il romantico, può generare disorientamento, ma il film va guardato con l’occhio attento alla cifra distintiva di un modo molto particolare di fare cinema nella Corea del Sud.

Bisogna far caso, innanzitutto, all’inquadratura iniziale, un fermo-immagine di 15 secondi, lo sguardo di un bambino imbronciato, Jun, sullo spicchio di cielo azzurro con cirri bianchi incorniciato dal parabrezza della macchina ferma sul ciglio della strada. Si sentono solo il ticchettìo dell’orologio e la voce della madre, Shin-ae, che chiama dal cellulare il carro attrezzi. Dallo specchietto pendono dei campanellini.

Dopo 52 minuti torna la stessa inquadratura, ma è un flash istantaneo e lo sguardo é quello della madre, la situazione é tragicamente mutata dall’inizio, cielo e nuvole sono identici. Viene in mente quel momento di silenzio immobile che precede l’attacco di una sonata, quando il pianista è fermo davanti alla tastiera, i suoni che verranno saranno tutto quello che dolore, felicità, amore e disamore potranno dire, ma decidere di iniziare non è facile.

L’azione comincia mentre mamma e bambino aspettano il soccorso stradale, giocherellano, si fanno scherzi, siedono sulla riva del ruscelletto vicino, fanno le solite cose che fanno mamme e bambini e lei gli dice: “E’ piacevole” – “Cosa?”, fa Jun, bambino dal buffo ciuffo color rame tra i capelli neri.

La luce del sole” risponde Shin-ae, poco più che una ragazzina, piccola, capelli raccolti a coda, la macchina non la perderà di vista per un attimo lungo tutto il film e ci chiederemo come possa, una piccola donna così, riuscire a farcela.

Myliang è la città dove si sta trasferendo col figlio, era la città del marito, lui non c’è più, per vaghi accenni si capisce che è morto, e per altrettanto vaghi accenni che pare l’abbia tradita. Lei però ha azzerato tutto, Myliang ora è l’inizio per loro due, un canto nuovo in una città che sostituirà il padre che non c’è.

Myliang in mandarino significa “luce segreta del sole”.

La chiave del film è qui, la luce è il bambino, poi sarà un probabile Dio che quelle comunità propongono alla madre.Ma quando anche questo Dio sparirà dal suo orizzonte, bisognerà far fronte al vuoto. Forse basterà la luce del sole? E’ segreta, secret sunshine

Lei guarda spesso in alto, l’ultima volta lo fa di notte, vagando per strada tra le auto e dice: “Mai, non mi avrai mai”.

Il finale tronca la storia in una sospensione inerte, polvere sollevata dal vento mista a ciocche di capelli che Shin-ae taglia via.

Secret Sunshine

titolo originale: Milyang 

Corea del Sud, 2007 durata 142’

regia di Lee Chang-dong

con Do-Yeon Jeon, Kang-ho Song

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