Séraphine di Martin Provost

Un biopic di rara bellezza e le ragioni sono molte.

L’ambientazione, innanzitutto, vallate verdi e fiorite, un fiume di acque trasparenti e l’antico ponte che l’attraversa, filari di alberi centenari lungo stradine silenziose intorno a Senlis, nell’antica provincia di Valois, vecchie case di pietra grigia, austera, antiche piazze e strade che risuonarono un tempo sotto gli zoccoli dei cavalli dei Capetingi.

Notre-Dame de Senlis  appare solenne più volte, ripresa dal basso, e il suo slancio gotico verso il cielo è nella stessa direzione in cui guarda Séraphine.

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Poi ci sono le voci della natura e il violino di Michel Galasso, “ un virtuose du violon qui expérimente depuis trente ans une synthèse mélodique et rythmique où ses affinités avec la musique baroque se mêlent à son héritage américain tout comme aux traditions sonores d’Iran et d’Asie centrale.” 

Infine la storia, pochi tratti, la sintesi di una vita difficile illuminata dall’arte, che si fa strada nel corpo goffo e malvestito di Séraphine Louis.

Tutto in questo film lascia tracce, e negli occhi entra la meraviglia di quei colori stesi sulla tela dalla mano rozza, callosa, dalle dita annerite di Séraphine, la serva, la lavandaia, la fille de Marie un po’ tocca, che le pie suorine biancovestite tengono con loro, cantano insieme il Veni creator spiritus prima di far merenda con vocine angeliche, e quel réfrain è tutto quel che ha imparato Séraphine di musica, e lo canticchia mentre dipinge sul pavimento della stanza di cui non riesce a pagare l’affitto.

La vita di Séraphine è quella del baco da seta nel bozzolo da cui uscirà la farfalla, unico pensiero dominante è trasferire le forme semplici della natura sulla tela, e i colori li prende da lì, impasta con la cera delle candele sull’altare, uno sguardo mortificato al Crocifisso e via, il rosso è il sanguinaccio rubato nella cucina del macellaio, l’azzurro, il giallo, il verde sono tutti nei campi, a mazzi di cui riempie il canestro.

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Le altezzose dame del paese le danno pochi centesimi per le lenzuola lavate e i mestieri fatti, e lei corre a comprar vernice bianca, piuttosto che carbone per scaldarsi.

Sembra una favola, ma non lo è, un bel giorno si accorge di lei Wilhelm Uhde, scopritore di Rousseau, primo acquirente di Van Gogh e collezionista di Braque e Picasso.

Ma la guerra, la Grande Guerra, arriva a Senlis, purtroppo tutti scappano, anche lui con la sorella che lo segue amorevole, e li ritroviamo dieci anni dopo a Chantilly. Wilhelm ha perso gran parte delle sue collezioni con la guerra, ma resta un punto di riferimento a Parigi, quei “primitivi”, soprattutto, sono la sua scoperta, ma la nostra Séraphine si è persa nel passato, forse è morta, chissà!

E invece lei era rimasta sempre lì, la guerra non l’aveva sfiorata, forse non se n’era neppure accorta, ma le sue tele crescevano e come ogni grande artista maturava. Se fosse una favola ci sarebbe il lieto fine, ma purtroppo questa è una storia molto triste e non basta che Wilhelm la scopra una seconda volta. I soldi che ora Séraphine guadagna le servono solo per poco, quanto basta per quell’abito bianco da sposa di taffétas che si fa fare e indossa per le strade del paese, anche lei un giorno era stata innamorata, di un ufficiale, e poi, per sempre, la solitudine.

Ma a lei bastava salire su quell’albero e star lì, a guardare.

Ora quei soldi servono per avere una stanza migliore nell’ospedale psichiatrico di Clermont-de-l’Oise, con un giardino davanti da guardare.

Qualche minuto in meno non avrebbe nuociuto al film, ma non importa, lascia tutto il tempo alle immagini di fissarsi nella memoria e a Séraphine de Senlis (una magnifica Yolande Moreau ) di diventare una presenza fissa nel nostro ricordo.

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Séraphine

Francia, Belgio, Germania, 2008, durata 125’

regia di Martin Provost

con Yolande Moreau, Ulrich Tukur, Anne Bennent, Geneviève Mnich, Nico Rogner, Adélaïde Leroux, Serge Larivière, Francoise Lebrun, Jean-Pascal Abribat, Anne Benoît

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