Zatoichi di Kitano Takeshi

Zatōichi è uno jidaigeki, film storico in costume ma, in questo caso, ambientato in un medioevo leggendario e in un villaggio di contadini infestato da bande rivali della yakuza.

C’è un eroe che ricorda Sanjuro di Kurosawa, ma non si direbbe un ronin, non va in cerca di ingaggi.

Personaggio molto noto in Giappone per la serie andata in onda dal ‘62 all’‘89 interpretata da Shintaro Katsu, Zatoichi (interprete lo stesso regista che, a differenza dell’originale, ne fa “un tipo piuttosto eccentrico, i suoi capelli sono infatti biondi e il colore del suo bastone è rosso sangue”) è un massaggiatore cieco esperto di arti marziali che farà il finimondo nel paese eliminando tutto il marcio.

Alla fine si scoprirà che non è affatto cieco (Ho diretto Zatoichi a occhi chiusi, il problema è che non ricordo mai le mie battute!), ma “ad esser ciechi si sentono meglio le cose”, dirà al capo mafia prima di accecarlo, la morte sarebbe stata troppo poco. Il regista marca la differenza del suo eroe rispetto all’originale quando dice:

Nella mia idea il personaggio avrebbe dovuto essere una sorta di specchio dei nostri tempi. Poi, mentre lo Zatoichi originale era una persona aperta il mio è invece molto appartato, difficile nei rapporti con gli altri. Il mio Zatoichi preferisce trucidare i cattivi piuttosto che familiarizzare con le brave persone…. Zatoichi è un supereroe dal sapore decisamente hollywoodiano, è una sorta di angelo sterminatore, ovunque vada una striscia di sangue lo segue. Il ritmo è stato un elemento cruciale in questo film, non solo nelle scene danzate ma anche in quelle drammatiche e soprattutto nelle sequenze dei combattimenti di Zatoichi.”

Ed è infatti il ritmo quello che più risalta in questo lungometraggio che afferra, trascina, ci si ritrova ad aspettare sospesi il prossimo colpo di scena, non si contano i passaggi che il montaggio alternato mette in catalogo, nella simultaneità, lungo il tempo reale del plot, e nella profondità, con sbalzi frequenti da un piano temporale all’altro.

Nella danza finale Kitano mette in scena addirittura un flashback vivente delle due geisha, ora bambine e un attimo dopo adulte, e il passaggio è scandito da un passo di ballo).

Ruotano bastoni, pugnali e katana ad un ritmo indiavolato da bursting point; battono a ritmo di danza i piedi dei contadini sul terreno e volano in aria zappe; corre urlando mezzo nudo e mezzo armato l’idiota del villaggio che vuol diventare samurai (ma che sembra più adatto per il sumo), e uno dei ciocchi di legno che Zatoichi sta tagliando e affastellando lo colpisce con  sincronia perfetta mentre passa, stendendolo (momentaneamente) a terra; ci offre un delizioso saggio di nichibu O-Sei, l’ermafrodito /geisha, accompagnata dallo shamisen della sorella (ma l’impugnatura del delicato strumento nasconde una spada, e spunta anche quella al momento giusto e due geisha con katana contro una banda yazuka solo Kitano poteva inventarle!); infine, un bellissimo misto di danza folkloristica giapponese con movenze da tip tap sarà la festa di chiusura nel villaggio.

La musica di Keiichi Suzuki raccoglie bene il testimone di Joe Hisaishi (“diventato troppo caro”, confida Kitano a chi gli chiede)

Zatoichi fa fuori tutto l’arsenale di giavellotti, pugnali, katana e bastoni dei prepotenti taglieggiatori dei contadini con mirabolanti piroette della sua spada nascosta nel bastone, scene di combattimento in puro stile ninja, con pezzi squartati e schizzi di sangue dappertutto, creano una esagerazione visiva quasi esilarante, “ho usato molte volte la computer graphic nel film soprattutto per tutti gli effetti legati al sangue – spiega Kitano – la mia intenzione era quella di esagerare gli spargimenti di sangue per dare al tutto un tocco da cartoon o meglio da videogame. Volevo rendere le scene dei combattimenti il più possibile surreali, divertenti, mi piaceva l’idea di rendere colpi e ferite il più possibile in una dimensione grafica”.

Subito dopo la mattanza con un bel ribaltone alla Kitano si apre un tranquillo interno “al gusto del sakè”: un ronin, samurai in disarmo del periodo Edo, ha una sua storia che fa da sub-plot, guarda con amore la moglie malata per cui deve combattere e guadagnar soldi, sfilano personaggi per cui riaffiora quella capacità incredibile di Kitano di andar dritto in fondo ad un cuore senza bisogno di parole e la risacca scioglie placida il sangue sfiorando i cadaveri sparsi sulla riva, 

C’è una lunga strada alle spalle di Kitano, e su questa anche il grande Kurosawa con i suoi Sette Samurai dal cuore buono che aiutano i contadini, o il cinico ma inflessibile Sanjuro che arriva, ammazza e va via.

Anche Zatoichi, diventato vedente da cieco che sembrava, va via, ma inciampa in una pietra e fa la sua battuta.

C’è anche la pistola che spunta all’improvviso in mezzo al roteare di katana e fa una ben magra figura al confronto, come ne La sfida del Samurai  di Kurosawa

Ed infine la pioggia, i famosi diluvi di Kurosawa:

La scena sotto la pioggia è il mio omaggio a questo grandissimo regista. La cosa divertente di quella scena è che mentre la giravamo improvvisamente non solo ha iniziato a fare freddo ma l’odore della pioggia è cambiato. L’acqua di scorta era finita e i tecnici sono stati costretti ad attingere a quella del lago delle carpe. Un vero schifo, sembrava che piovessero carpe dal cielo.”

Che dire ancora? C’è divertimento assicurato, e a quello Kitano tiene sempre molto.

Zatoichi

Giappone, 2003 durata 116’

regia di Takeshi Kitano

con Takeshi Kitano, Tadanobu Asano, Yûko Daike, Akira Emoto, Taka Gatarukanaru

 

___________________

Le immagini presenti nell’articolo appartengono ai rispettivi proprietari e sono utilizzate al solo scopo di corredare il testo.